Catullo reinterpretato da Foscolo e non solo.
Catullo, durante un suo viaggio in Bitinia, visita la tomba del fratello, morto lontano da casa e seppellito nella Troade. Egli giunge davanti al tumulo, dopo aver affrontato un lungo viaggio, (il motivo della peregrinazione è ripreso dall’incipit dell’Odissea e anche da Virgilio nell’incontro tra Enea e Anchise) per un immaginario colloquio con le ceneri mute del fratello, consapevole che non avrà risposte, compie i gesti rituali ma capisce che non ci sarà più nessuna comunicazione con l’aldilà, perciò, non trovando consolazione alcuna, si abbandona al pianto.
Questo genere di componimento, l’epigramma funebre, era già utilizzato nella poesia ellenistica, a volte in modo convenzionale, al contrario, Catullo dimostra il suo dolore sincero e reale e sa bene che il tempo non potrà rappresentare un rimedio. Il poeta nel suo Liber, non parla della sua famiglia, ma solo del fratello, di cui non si conosce il nome, (ma di cui si intuisce la giovane età ), che cita in due carmina:
“a me più caro della vita” lo definisce nel LXV, oppure a proposito della morte dice nel carmen LXVIII, dedicato a questo dolore :
“con te è stata sepolta tutta la casa”,
“insieme con te sono finite le nostre gioie”
“sepolto nella maledetta Troade”
Nel finale del carme CI inserisce la formula del saluto, tipica della tradizione, con cui vuole dimostrare, che nonostante l’inutilità dei doni funebri, sente la necessità di aggrapparsi a questa parvenza di comunicazione con l’amato defunto.
Carme SCI
Dopo aver viaggiato per molti paesi e per molti mari
sono giunto, o fratello, a questi tristi riti funebri,
per darti l’ultima offerta di morte
e parlare invano alla muta cenere,
dal momento che la sorte proprio te mi ha strappato,
ahimè, povero fratello, ingiustamente toltomi!
Ora tuttavia almeno questi doni che dall’antico uso degli antenati
sono stati tramandati con triste offerta per i riti funebri
accetta molto grondanti per il pianto fraterno,
e per sempre, fratello, addio e ancora addio.
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
heu miser indigne frater adempte mihi!
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
Foscolo riprende l’incipit del carme catulliano in un celeberrimo sonetto, “In morte del fratello Giovanni”, (composto nel 1803), e, di proposito vuole confrontare il suo dolore con l’illustre poeta latino, per dimostrare che una vicenda personale, espressa in termini poetici, può diventare universale grazie alla potenza eternatrice della poesia, sebbene il dolore non possa venir meno. In questo sonetto, si possono ritrovare tutti i topoi che legano le opere foscoliane e ne costituiscono le tematiche portanti, collocate in una struttura circolare che parte e si conclude con la dolorosa esperienza dell’esilio.
L’esordio ripropone il carme di Catullo: un lungo viaggio la cui meta però non è raggiungibile al contrario del modello, non è presente il tema dell’acqua, per indicare il viaggio, ma solo del vagare attraverso diversi popoli,nel suo esilio. La pietra tombale e il cenere muto, ricordano non solo il carme catulliano ma anche l’elegia 6, II di Tibullo che si reca alla tomba della sorellina morta:
“fuggirò alla sua tomba e siederò in preghiera e col suo muto cenere mi lamenterò della mia sorte”.
Il “fior dei tuoi gentili anni caduto” è di nuovo catulliano: nel carme XI il suo amore caduto è paragonato a un tenero fiore reciso dall’aratro.
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente; mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:
Ed ecco, ci appare un motivo ricorrente in Foscolo e assente in Catullo: la presenza della madre che rappresenta insieme con la tomba la ricomposizione del nucleo familiare. Foscolo richiama il verso di Petrarca “traendo poi l’antiquo fianco” ma anche Alfieri che nelle Rime (CLXXV) dice:
“misera madre che di pianto in pianto vai strascinando la tua triste sera…”
La congiunzione “ma” segna uno stacco e indica l’impossibilità del poeta di congiungersi alla famiglia e alla sua patria a cui inutilmente protende le palme. Questo gesto richiama l’Eneide, Enea che tenta di abbracciare l’ombra di Creusa e poi di Anchise, oppure l’esempio mitologico di Orfeo che vorrebbe abbracciare Euridice, ma cita anche un luogo dell’Ortis durante l’incontro con Parini a Milano:
“le mie braccia tornavano deluse senza stringere nulla”.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Nella prima terzina Foscolo si distacca da Catullo e, si identifica con le tormentose esperienze del fratello, (i numi avversi sono una citazione virgiliana), e spera di trovare quiete nella pace serena della morte. La metafora del porto per indicare la morte è un motivo topico molto frequente in Dante e ancor più in Petrarca.
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:
Il poeta perde la speranza del ritorno in patria, del ricongiungimento alla famiglia in vita, (utilizza un’espressione di Petrarca “questo m’avanza di cotanta speme” CCLXIII), e supplica le straniere genti di restituire i suoi resti alla madre triste. Solo nella morte dunque avrà il suo ricongiungimento alla famiglia. L’espressione “straniere genti” richiama il finale della prima lettera di Iacopo: “Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere…le mie ossa poseranno sulla terra dei miei padri”.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
Attraverso una fitta rete di allusioni letterarie, il Foscolo esprime il suo dramma umano e le contraddizioni del fato avverso: il fratello morto rimane con la madre a Venezia ma muore, lui è ancora in vita ma non può tornare nella terra materna. La famiglia spezzata può trovare solo un’unione ideale presso la tomba del fratello con la figura della madre-terra che dialoga col figlio defunto di quello vivo, ma lontano. La tomba assume così un alto valore simbolico di ricomposizione degli affetti, come luogo ideale di illusione di sopravvivenza attraverso l’affetto e la memoria che Foscolo aveva già trattato nell’Ortis e che diventa il motivo centrale dei Sepolcri.
Un altro poeta, questa volta del Novecento, Giorgio Caproni, propone un’altra versione molto fedele del carme catulliano, dedicando la lirica a suo fratello Pier Francesco, morto il 12 febbraio 1978 e sepolto in una gelida mattina di neve nel cimitero di San Siro a Genova. Nella poesia del 1978, pubblicata nella raccolta “Il franco cacciatore”, risalta moltissimo il motivo della neve candida contrapposta al nero della fossa, oltre al dolore immenso per la perdita non solo del fratello, ma anche del migliore amico.
Atque in perpetuum, frater…
Quanto inverno, quanta
neve ho attraversato, Piero,
per venirti a trovare.
Cosa mi ha accolto?
Il gelo
della tua morte, e tutta
tutta quella neve bianca
di febbraio – il nero
della tua fossa.
Ho anch’io
detto le mie preghiere
di rito.
Ma solo,
Piero, per dirti addio
e addio per sempre, io
che in te avevo il solo e vero
amico, fratello mio.