Non aspettatevi la classica biografia, né tanto meno un saggio dal rigore scientifico e filologico. Degas parla di Daniel Halévy, appena pubblicato da Adelphi con la traduzione di Tommaso Pezzato, non è né l’una né l’altro. E non lo è per molti motivi, di metodo e di genesi. Degas parla è un libro che da per scontate molte cose, facendo, di ciò che sembra un limite, la sua forza. Perché questo testo assolve ad una di quelle funzioni a cui i grandi libri dovrebbero assolvere: stimolare la curiosità, invogliare alla lettura di altri testi, alla raccolta di ulteriori informazioni rispetto a ciò di cui va raccontando.
Degas parla è una ricostruzione, quasi più per sottrazione che per aggiunte, di parte del percorso umano, artistico e culturale di uno dei più grandi (e controversi) artisti al mondo. Le sue ballerine, tanto citate quanto forse mai comprese fino in fondo, ne hanno probabilmente tramandato un ritratto incompleto e parziale. E certo questo Degas parla non ha l’ambizione dell’esaustività. Ma racconta, in forma di diario, la voce dell’artista, seppur filtrata dalla memoria di chi quel diario lo ha scritto.
Daniel Halèvy, storico e saggista francese, era un ragazzo quando decide di conservare sul suo diario le parole di Degas, le sue invettive, i suoi furori intellettuali e umani, le sue predilezioni pittoriche e letterarie, le sue idiosincrasie, finanche (seppure in un ingenuo quanto “ecumenico” tentativo di tutto comprendere e tutto giustificare) una malcelata misoginia e un per nulla celato antisemitismo.
E qui si capisce quanto scritto poco sopra quando si sottolineava la necessità di leggere questo Degas parla alla luce di ciò che era, socialmente e politicamente, la Francia di fine ‘800. Quella Francia, e ancor più quella Parigi, che fa da sottofondo alle pagine di questo diario. Daniel appartiene ad una di quelle che sono state definite “le tante famiglie adottive” di Degas, uomo solo e solitario, isolato si potrebbe dire. Gli Halèvy, come i Rouart o i Morisot, erano proprio “famiglie della borghesia liberale, che coniugavano l’agiatezza e la semplicità di vita con le gioie della cultura e l’amore per la musica”. E il giovane Daniel, imbevuto di adolescenziale curiosità, tra le pareti di una casa in cui la cultura si respirava come la cosa più naturale al mondo, nei suoi diari ci porta sì tra le parole di Degas ma, ancor più, un contesto ben preciso, che è utile contestualizzare e storicizzare appunto.
Degas frequenta assiduamente casa Halèvy tra il 1877 e il 1897. È il periodo della Terza Repubblica francese, nata sette anni prima dopo la prima battaglia di Sedan, imponente sconfitta francese della prima fase della guerra franco-prussiana. Governi instabili, forte nazionalismo, sostegno di parte della società agli ambienti militari, antisemitismo culminato con l’affare Dreyfus (che fu la causa della rottura dei rapporti tra Degas stesso e la famiglia Halèvy) sono la cornice storico-politica in mezzo a cui si muovono le pagine di questo diario. E che ci restituiscono un Degas controverso, anche dal punto di vita politico, ma anche il suo percorso artistico, molto più complesso di quanto, in molti, non abbiano creduto. “Ma Degas era un esemplare così puro di parigino del Secondo Impero, aveva uno spirito così sensibile alla realtà della vita moderna da non poter restare legato ai modelli pittorici tradizionali. Un sogno geniale prese forma nella sua mente: immaginò di trovare negli spettacoli di danza, nelle malie delle messe in scena teatrali dei soggetti in cui riviveva, nelle forme del suo tempo, lo stesso immaginario al quale avevano attinto Tiepolo e Veronese. I ballerini e le ballerine, le foreste di cartone e i cieli dipinti del grand opèra parigino avrebbero preso il posto della mitologia che aveva ispirato Tiziano e Rubens e dello splendore delle corti e delle feste principesche.”
Un ritratto, forse non nato con l’intento di essere tale, che anche in modo frammentario, ci introduce nell’inscindibile evoluzione artistica di un uomo che, per dolori e problemi familiari, arriva ad: “[…] un’epoca in cui il naturalismo avviava una radicale spoetizzazione, e Degas, che er incline agli estremi, non mancò di interessarsi a quella teoria. […] E’ nel nudo che vuole cogliere la forma più intima dei gesti. Il gesto diventa la sua passione, dimentica le ballerine stesse e la danza. […] Predilige i gesti più semplici, più concreti, meno aggraziati […] bizzarro compiacimento nella deformità, bizzarra insistenza sui gesti che sviliscono la donna.”
Sono frammenti di conversazioni, di immagini, di incontri, letture, passioni subitanee come la fotografia o la costruzione di bastoni da passeggio che, seppure inevitabilmente solo accennati, contribuiscono a restituire non solo un uomo ma un’intera epoca. Halèvy, nel 1960, detta la sua prima versione di Degas parla ed è proprio questa che abbiamo tra le mani, che prende vita dai diari originali ma arricchita da materiale inedito. Un’opera che, proprio per la forma diaristica, per la modalità con cui è nata, la distanza temporale e la inevitabile “distorsione” che i ricordi portano con sé, restituisce tutta la complessità della voce di Degas a cui “un destino baro e bizzarro” portò in sorte una quasi totale cecità.
Un bellissimo testo arricchito da foto, appendici, lettere e sonetti dello stesso Degas
Diari, saggistica
Adelphi
2018
245