Esce in questi giorni, per l’editore Marietti 1820 e con la curatela di Emanuele Colombo, L’amicizia, di Egied Van Broeckhoven. Egied, gesuita, operaio e mistico, morì il 28 dicembre 1967 durante il suo lavoro in fabbrica, a Anderlecht, un quartiere di Bruxelles. Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Non ho né l’interesse né i termini e i mezzi per soffermarmi sua nalisi teologiche, sui significati religiosi delle pagine di questo meraviglioso diario. Ma quella che, a prima vista, può apparire come una captatio benevolentiae, è in realtà la dimostrazione di quanti e quali possano essere i piani di lettura di questo libro. E quello da me privilegiato (e molto apprezzato) è quello più laico, rintracciabile anche in una scelta così profondamente “teologica” come fu quella di Van Broeckhoven.
A metà degli anni ’60, Egied cominciò a lavorare in fabbrica, in due quartieri diversi di Bruxelles, Anderlecht e Molenbeek-Saint-Jean. Quest’ultimo divenuto famoso negli ultimi anni come emblema, semplicistico e mediatico, di un disagio sociale ridotto, a suon di titoli, a fucina di terrorismo islamico. Ecco, allora, proviamo a partire da qui. Proviamo, attraverso la vicenda e il diario di questo gesuita, a leggere come ci sia stato qualcuno che, seppure con motivazioni specificamente teologiche, abbia sentito di dover trovare Cristo nella vita di tutti i giorni,nella vita di chi lavorava in fabbrica. Non c’era, è bene saperlo, alcun intento sociologico in questa scelta di vita. Lo scrive chiaramente lo stesso Egied. Altro era l’intento, la missione. Ma, verrebbe da dire, poco importa.L’amicizia come Dio in tutto e in tutti ha, sicuramente, una deriva evangelizzante ma resta il fatto di una condivisione profonda, di una vicinanza, di una mescolanza anche e soprattutto, in ambienti difficili. Quanto ce ne sarebbe bisogno oggi? Primo spunto di riflessione che questo libro regala in abbondanza.
Quando Egidie entra in fabbrica, il cosiddetto movimento dei preti operai era già attivo da una ventina d’anni, cioè da quei terribili anni’40 durante i quali, in Francia, nacque questa spinta per opera di Jacques Loewche, dopo essersi fatto assumere come operaio al porto di Marsiglia, iniziò a rendere pubbliche le condizioni di vita e di lavoro in quel luogo. Sollecitandola Chiesa a “accompagnare”, in qualche modo, quegli uomini. Solo il primo di una serie di “atti rivoluzionari” che videro altri sacerdoti inviati in alcune fabbriche tedesche come operai. Un fermento nato, come ci racconta questo libro, da “un’idea di due assistenti della Jeunesse Ouvriere Chretienne, Henri Godin e Yvan Daniel che si resero conto dell’insufficienza della proposta della Chiesa verso il mondo operaio.”
Ora, stiamo ben attenti a non dare connotati politici e ideologici a questo “movimento” e a non leggere questo libro come ciò che non è. Anche se, non vi è dubbio, ad un certo punto il coinvolgimento di alcuni preti nei sindacati comunisti e il loro coinvolgimento in ambienti marxisti,suscitò non poche preoccupazioni nella Curia di Roma. Ciò che accadde nei decenni successivi, ovverosia le implicazioni diciamo “mondane” del coinvolgimento dei preti nelle fabbriche, ce lo racconta la bellissima prima parte di questo libro, accompagnandoci in una storia che ci interroga, anche e soprattutto come laici.
Eccoci quindi a leggere una serie di brani, sia editi sia inediti, del diario di Egied Van Broeckhoven, ricchi di riflessioni inevitabilmente teologiche ma pregne di un bisogno di coinvolgimento concreto nella vita dei suoi compagni di lavoro. Partendo da una parola chiave:amicizia. Da cui muove tutto intero, si può dire, il suo apostolato, ortodosso certo, eppure ricco di sfumature che diventano davvero ecumeniche nel senso originario della parola. Nella pagina del 23 settembre 1965, per esempio, Egiedscrive: “Un’esperienza positiva in fabbrica; impegnarsi nel processo di trasformazione continua delle formeinferiori di energia in un’energia superiore (il flusso dell’Evoluzione). Il lavoratore ha una conoscenza di Dio maggiore di molti preti.” Oppure,Cristo visto nelle piccole cose. 16 novembre 1965: “Il lavoro di notte è duro, soprattutto dopo il fine settimana. Buongiorno del turco sul tram (un uomo buono, candido come un bambino), e del più tranquillo dei tre spagnoli più vecchi. Lo jugoslavo (nel dipartimento delle etichette): una volta maestro di scuola, rifugiato politico che è venuto qui con la figlioletta di sei anni; sua moglie e suo figlio sono rimasti al loro paese: Dover fare tutto da soli, così poco tempo libero, però una consolazione:quando va a prendere sua figlia il sabato.”Serve altro, di questi tempi, per comprendere l’attualità e l’urgenza di un libro come questo? Se Cristo è morto in croce, chi meglio di un operaio morto in fabbrica può testimoniare il suo calvario?
Diari
Marietti 1820
2018
161