La grande ritrattista dell’ Art Déco: Tamara De Lempicka, una donna annoiata dalla normalità
Fatta eccezione per quelle poche donne nate e cresciute in una famiglia di artisti, come Artemisia Gentileschi figlia del pittore Orazio o di Angelica Kaufmann e di quelle più ribelli e sfrontate che scelsero deliberatamente di sfidare le convenzioni del tempo, come Berthe Morisot, bisognerà attendere il XX secolo affinché nella pittura l’impronta di una donna lasci un segno profondo … una donna forte ed emancipata, trasgressiva, eccentrica, irrequieta, elusiva.
Tamara Rosalia Gurwik-Gorska è una giovane polacca, nata a Varsavia il 16 maggio 1898 e giunta a San Pietroburgo poco prima della guerra. Nel 1916 aggiunge al proprio nome quello del marito, l’avvocato Tadeusz de Lempicki da cui si fa notare presentandosi ad una festa vestita da contadina polacca con un’oca al guinzaglio. Con lo scoppio della rivoluzione bolscevica si trasferiscono a Parigi dove, per sfuggire all’infelicità matrimoniale e alla crisi economica, Tamara decide di diventare pittrice. Segue i corsi dell’Acadèmie de la Grande Chaumière, di André Lhote da cui apprende la lezione del cubismo naturalista che sovrappone al gusto per il manierismo italiano, creando un’anatomia dei corpi deformata all’interno di linee curve che disegnano archi e cerchi; la costruzione scultorea dell’immagine nella sua pittura si sposa inoltre al decorativismo appreso da Maurice Denis.Probabilmente già a San Pietroburgo aveva seguito corsi di pittura perché, dal suo arrivo a Parigi nel 1918 a quello della prima esposizione pubblica nel 1922, si impadronisce di una tecnica e di un repertorio di immagini che fanno presupporre una profonda conoscenza del mestiere.
Dipinge febbrilmente ma il successo non è immediato: la sua arte ottiene riscontri positivi dalla critica solo quando il suo linguaggio abbandona aspre e sgradevoli deformazioni e acquista un glamour di più facile comunicatività, definendosi anche quella svolta purista che rende più chiari e netti i suoi dipinti. Le sue opere appartengono in gran parte a collezioni private allontanandola dal grande pubblico, una distanza che ha sempre voluto mantenere nel corso della sua vita indossando una maschera, perché nell’arte come nella vita è importante solo la forma; sceglie di frequentare solo la classe aristocratica degli anni Venti e realizza prevalentemente ritratti di persone dell’alta società mondana e di personaggi contemporanei.
Si tuffa nella bohème pariginadei café, discute con Eugen Brachtdel superamento del cubismo e del ruolo del futurismo e insieme a Tommaso Marinetti progetta (senza alcun esito) di incendiare il Louvre in nome della modernità predicata e inseguita.Frequenta le feste del sarto Paul Poiret,le Pacha de Paris, indossa i suoi abiti e quelli di Chanel; è una habitué di La Vie Parisienne, il night club di Suzy Solidor e non nasconde le sue relazioni con la ballerina Rafaëla e con la duchessa Marika de La Salle:le sue rappresentazioni dell’amore lesbico non conoscono la morbosità di Schiele, né l’esibizionismo di Schad. Partecipa alla vita mondana dell’alta società internazionale, viaggia tra le residenze di lusso italiane, svizzere e della Costa azzurra. Durante uno dei suoi viaggi, nel 1925, si ferma a Milano dove inaugura la sua personale ( 30 dipinti e 8 disegni) nella galleria Bottega di Poesia in via Monte Napoleone. In quell’occasione conosce un ormai anziano Gabriele D’Annunzio che la desidera follemente. Durante i dieci giorni di permanenza al Vittoriale, la sua villa sul Lago di Garda, D’Annunzio le fa una corte spietata, tenta le più torbide armi della seduzione compresa la cocaina, ma Tamara vuole solo ritrarlo, per lei è solo un vecchio nano in uniforme e così nel cuore della notte chiama un taxi per scappare in un hotel di Brescia. D’Annunzio le invia un messaggero su un cavallo bianco per farle recapitare la poesia Alla donna d’oro e un anello di topazio.
Alla figlia dedica più tempo da pittrice che da madre; Kizette posa spesso per Tamara divenendo uno degli angeli nelle tele sull’infanzia, avvolta in veli come una Madonna del Pontormo, sorpresa a leggere compressa in uno spazio destrutturato cubo-futurista.
La gamma cromatica che utilizza è alquanto ridotta. I suoi nudi ritraggono donne belle, ricche,eleganti, invitanti ma irraggiungibili, espressione di una femminilità che ambisce all’affermazione sociale senza rinunciare alla seduzione. Si ispira a Ingres da cui attinge il classicismo freddo ma sensuale, l’uso sorprendente del colore, l’ideale di calma che quasiesclude la vita delle figure algide, sospese in un gesto. Condivide la passione per lo stile, quell’istanza superiore di perfezione dell’immagine.
La sua pittura fredda elevigata, al limite della stilizzazione accende i riflettori su una teatralità sottesa di ombre e di sottile malessere. Gli aristocratici che dipinge sembrano uscire dalle pagine di un romanzo di FrancisScott Fitzgerald, proponendo quel senso estremo del vivere e del piacere che prelude alla tragedia di un mondo che sta per uscire di scena, sono fantasmi di un’epoca e della propria esistenza. I suoi ritratti sottolineano la solitudine dell’egocentrismo sfrenato.
Nel 1928, Tadeusz divorzia da Tamara,stanco delle sue intemperanze, della sua esistenza convulsa tra riunioni mondane ed esibiti legami sentimentali, viaggi in Riviera e per l’Europa ,lavoro e sapiente gestione della sua immagine di femme fatale disinibita e emancipata. Tamara per vendetta lascia incompiuto il suo ritratto, non terminala mano sinistra su cui avrebbe dovuto dipingere la fede nuziale. In quel tempo Tamara aveva già una serie di affezionati collezionisti tra cui il dottor Boucard e il barone Kuffner che diventerà il suo secondo marito. Per la Lempickale copertine delle riviste e i cartelloni pubblicitari divengono una fonte importante cui attingere, perché piacevoli sul piano compositivo e moderne,elaborate su temi à la page. E Tamara ama tutto ciò che è moderno, dagli abiti di Madame Schiaparelli, alle nevi svizzere celebrate in un dipinto dal tipico taglio del cartellone pubblicitario e della foto di moda.
Nel 1939 si trasferisce a New York dove cerca di nascondere la sua maternità e imporsi come figura indipendente in un momento storico in cui le conquiste femminili incoraggiano uno stile di vita non stereotipato. Le forme si fanno sempre più astratte e si focalizza sulla rappresentazione dei grattacieli. Usa la spatola e abbandona il pennello. Espone alla galleria di Paul Reinhardt, a Los Angeles e a San Francisco ma le sue nuove opere non incontrano il consenso della critica. Solo una mostra antologica organizzata a Parigi nel 1972 a la Galerie du Luxembourg riporta al successo l’ormai anziana pittrice che muore nel 1980 in Messico a Cuernavaca. Le sue ceneri vengono sparse nel cratere del vulcano Popocatépeti.
In copertina: Autoritratto sulla Bugatti verde di Tamara de Lempicka – 1929
Riferimento: Tamara de Lempicka di Gioia Mori, Giunti Editore, 1999