Chissà quale sarà stato l’impulso che ha permesso a Schulze di esplicare un’idea come “Cyborg“? Nulla di diverso da Riley. Ma differente è il particolarismo che si conferisce alle note, le quali mutano lentamente nel labirinto del fluxus dato dalla muro dei synth. C’è un inizio sommesso e poi le varie fasi, i vari umori, che efficacemente mostrano la sagoma sonora. Abbiamo la stasi, la quiete, le melodie eteree e il carattere mastodontico dei sequencer, del VCS3 e del moog.
1976: cieli sonori da estendere e cullare sul suo originale senso di sospensione. “Moondawn” è il lavoro dove riesce a far frutto di tutta l’esperienza acquisita fino al momento, ricordandosi anche dei suoi fasti passati. L’ipnosi, l’attesa, la meditazione e il crescendo sono le caratteristiche essenziali del suo sound. Il sequencer è la novità che troviamo con “Moondawn“, insieme al percussionista Harald Grosskopf che lo seguì in successivi lavori. Infatti l’impostazione della titletrack è arricchita proprio dalle roboanti rullate indottrinate dallo spirito di “Amboss” e dalla ruvidezza di “Electronic Meditation“. L’influenza di Ligeti, Stockhausen, Bach e Wagner è serena, basta vedere l’impostazione di “Ebene” o di “Synphara“. “Mindphaser“, l’altro lato del vinile (stiamo nel ’76..), è una lenta ascesa nel trascendentale. A primo impatto con Schulze è inevitabile perdersi nell’evaporazione più incontrollata dei suoni, rischiando di non concentrarsi nel magma sonoro. E’ una vera e proprio orchestra monolitica che non incorpora i minimalismi dei capolavori “Atem” e “Zeit“.
L’ipnosi, l’attesa, la meditazione e il crescendo sono le caratteristiche essenziali del suo sound, e in questo album la composizione che conferisce il titolo all’opera è l’esempio perfetto.
Il sequencer è la novità che troviamo con “Moondawn“, insieme al percussionista Harald Grosskopf che lo seguì in successivi lavori. “Mindphaser“, l’altro lato del vinile (stiamo nel ’76..), è una lenta ascesa rappresentante le ultime tracce spirituali che contraddistinguevano le fasi iniziali, anche se ci sento “Hergest Ridge” di Oldfield. Schulze è incastonato in questo monumentale spirito sinfonico simboleggiante la sua complessità. E le sue caratteristiche con l’andare avanti del tempo saranno sempre più estremizzate, come vediamo nei successivi mastodontici “X” e “Mirage”.
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Rock elettronico
1976