Appunti sparsi sulla poetica teatrale di Emma Dante
Negli ultimi anni la critica teatrale si è occupata molto della drammaturga e regista Emma Dante, per la sua originalità narrativa e per la costante ricerca sul mistero senza fine dei corpi in scena, per la forza di trasformazione fisica e di azione sui corpi e dei corpi che restituiscono i suoi spettacoli. Non usa scenografie ingombranti, c’è quasi sempre lo spazio vuoto, perché la sua poetica è raccontata esclusivamente dagli attori con il corpo attraverso la loro esperienza di vita, pretendendo un grande sforzo legato al raggiungimento di un gesto non naturale, che però deve diventare tale. Quando lavora ai suoi spettacoli non parte mai dal testo, ma dalle improvvisazioni, dal lavoro sul training, dal lavoro fisico per cercare i personaggi, il loro modo di guardare e di guardarsi, di relazionarsi. Solo dopo, il testo assume rilevanza. Le prove dei suoi spettacoli durano anni, proseguono anche quando lo spettacolo è in scena così che cambia continuamente e lo spettatore non assiste mai allo stesso finale. La luce è attrice come è attore l’oggetto e l’attore in carne ed ossa è chiamato a dialogare con delle cose inanimate che diventano importanti quanto lo è la parola, il movimento. Tutto deve essere fuso.
Il teatro è un gesto che muore continuamente ma che si rigenera l’indomani.
Nello spettacolo Bestie di scena (al Teatro Bellini di Napoli dal 5 al 10 febbraio) è evidente il processo di mutazione dei corpi, da esseri umani a bestie, da corpi vestiti nella vita a corpi nudi sulla scena. In questo spettacolo faccio i conti con le mie battaglie per un teatro basato su respiri di attori e verità di immagini. È un’avventura forte, direi estrema ha dichiarato la regista a Il Manifesto. Uno spettacolo perennemente incompiuto, indefinito, a tratti incomprensibile allo spettatore così come agli attori che lo realizzano. Bestie di scena fotografa l’attimo in cui l’attore si sveste, è nudo e deve mettere il costume ma non lo indossa, almeno davanti allo spettatore: quando sulla scena piovono gli abiti e le scarpe, se li lasciano alle spalle per tornare in fila, immobili, senza il bisogno di nascondersi dietro una mano. È un momento di creazione primordiale dove ciascun attore è sottoposto a continui stimoli, ostacoli che arrivano dalle quinte, dall’alto, dai lati. Dopo Bestie di scena questi corpi vengono vestiti e deformati, fino ad ottenere quel groviglio di personaggi incarnati in due corpi maschili che interpretano le vecchie di La Scortecata (in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 29 gennaio al 3 febbraio). In questo caso la Dante “si limita” alla riscrittura scenica della favola seicentesca tratta da Lo Cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille di Giambattista Basile, noto anche col titolo di Pentamerone … una favola, in dialetto napoletano antico, la cui morale risiede nel vizio sempre attuale di voler apparire belli e giovani a tutti i costi, fino al punto di farsi scorticare affinché dalla pelle vecchia venga fuori quella nuova. Come le maschere della Commedia dell’Arte i corpi dei due attori si curvano, si deformano in abiti stracciati per raccontare un sentimento, per marcare i difetti di una fase della vita, secondo la regista, innaturale. Si realizza una evidente antinomia tra la corporeità votata alla resa della vecchiaia e il vigore muscolare giovanile che inesorabilmente prorompe, alimentando un’atmosfera di controsenso.
Il teatro di Emma Dante si nutre di un linguaggio universale, affrontando le domande che da sempre si pongono gli esseri umani, utilizzando il dialetto, la lingua della strada, soprattutto il palermitano, una lingua elastica e viva, che spesso inventa o rielabora e che si concretizza nella gestualità; volendosi confrontare con il reale, si rivolge al dialetto come unica e autentica possibilità espressiva. Una parlata che nasce con i personaggi stessi e che senza di essi non esisterebbe, essendo necessità assoluta e identificante del loro vivere scenico. Parla soprattutto di famiglia, il piccolo nucleo centrale da cui inizia tutto, dove si intrecciano legami morbosi, a volte anche violenti … una famiglia appartenente al sottoproletariato, luogo di miseria e povertà ma anche di divertimento con momenti grotteschi, caricaturali quasi di avanspettacolo. Quadri che rimandano alla letteratura russa e in particolare a Dostoevkij.
Foto: Bestie di scena di Emma Dante
Riferimento: intervista rilasciata da Emma Dante alla rivista Arabeschi il 2 settembre 2017