Le sere, di Gerard Reve. Un disperato nichilismo
Era il 1947, l’Olanda usciva dalla Seconda Guerra mondiale animata sì da un bisogno profondo di ricostruirsi ma, anche e soprattutto, con ferite altrettanto profonde. Non solamente alla sua identità quanto, ancor più, ad una sorta di innocenza perduta. Un paese che aveva perso la sua neutralità storica, vissuto l’occupazione nazista e la vera carestia, ricordata con il termine hongerwinter, cioè l’inverno della fame. Fu dunque nel ’47 che un allora giovanissimo Gerard Reve (aveva solo 23 anni) esordì con questo libro Le sere. Un libro che suscitò immediatamente aspre polemiche, ostracismo, incomprensione. La letteratura doveva farsi portatrice di una ricostruzione anche morale mentre questo testo si presentava ammantato da tagliente cinismo, nichilismo, crudeltà. Forse troppo, per quell’epoca.
Eppure, cosa avrebbe potuto scrivere di più potente un ragazzo così giovane, in quegli anni? Nella critica, così aspra contro questo libro, ci furono varchi rappresentati da giudizi positivi come quello di W. F. Hermans, come ci ricorda Marika Di Canio nel suo saggio Reve. Dal disagio Postbellico al Cattolicesimo Eterodosso: “Fin da subito De avonden (titolo originale de Le sere) divide la critica: da alcuni è giudicato un romanzo amorale e cinico e un pericolo per i giovani, considerati come una generazione malata. C’è innvece chi volge in positivo questo giudizio, difendendo il libro: il romanzo rappresenta per W.F. Hermans lo specchio di una mentalità, quella dei giovani del dopoguerra, prodotto del fenomeno di “deintellettualizzazione” in corso in quella fase storica, quindi può a pieno titolo essere definito prodotto di una generazione”
Ma che libro è questo Le sere? Un libro che sembra non raccontare nulla e che, invece, ci apre abissi di solitudine, di disorientamento. Attraverso le sue pagine veniamo accompagnati nella cronaca degli ultimi dieci giorni del 1946, raccontati dal protagonista, (in terza persona ma quella terza persona che rappresenta “una prima persona mascherata) Frits van Egters. Frits, giovanissimo e probabile alter ego dello stesso Reve, si muove in mezzo a giorni, e soprattutto sere, fatte di niente, di vuoto. Ogni cosa viene passata attraverso lo spietato vaglio dell’ancora più spietata critica di Frits. Nulla trova scampo al suo cinico giudizio, i suoi genitori (con cui vive in un piccolo appartamento di una riconoscibile ma mai nominata Amsterdam), i suoi amici, chiunque incontri. Frits non può fare a meno di osservare e di demolire con frasi fredde come l’acciaio e pensieri ancora più terribili che fanno da controcanto alle sue parole. Il giovane è letteralmente ossessionato dal decadimento fisico, dalla morte. Il suo incessante vagare per la casa è identico al suo vagare per la città, in una parossistica ricerca di qualcuno con cui parlare, pur sapendo che quel parlare girerà a vuoto.
C’è, è vero, in queste pagine, quello che il critico Garmt Stuveling (ricordato dalla stessa Di Canio) definisce “insistenza sul disgusto e la vacuità del presente”. E diviene inevitabile pensare che Frits sia una sorta di paradigma dell’Olanda di quegli anni. La mente del giovane vaga in una specie di infinito labirinto, un’ossessione ripetitiva e senza sbocchi. Tra sogni in cui c’è sempre una minaccia e dialoghi surreali gravidi di storielle crudeli. Tutto sembra congelato in questo libro. L’inverno fuori e i sentimenti di Frits dentro.
Non vi è neanche una vera e propria trama in questo Le sere ma un continuo dialogo tra Frits e gli altri che, in realtà dialogo non è quanto semmai una solipsistica provocazione. Il giovane si muove quasi come uno scandalo continuo, demolendo le debolezze altrui, instillando paure, inadeguatezze. In buona sostanza portando macerie con il suo nichilismo. Eppure. Eppure c’è anche un’insistenza nell’uso di alcune frasi di stampo biblico, e uno struggente, disperato e quasi rivelatorio dialogo finale con Dio.
Molti sono gli elementi che si ripetono in questo libro, come una malcelata insistenza sul corpo (il suo, che Frits guarda spesso nel piccolo specchio della sua camera e il corpo degli altri, per lo più per criticarne alcuni aspetti, come l’incipiente calvizie degli amici) e la tendenza a borbottare di Frits stesso. Un’incombenza che rivela la paura e al contempo il bisogno di sottrarsi con il silenzio. Motivo per cui il giovane rompe spesso questo silenzio con battute tanto crudeli quanto del tutto inutili.
Frits in realtà cerca il dialogo con gli altri ma sembra riuscire a rapportarsi a loro solo sovvertendo le convenzionalmente accettate regole della convivenza. In questo senso Frits è uno “scandalo vivente”. Tanto scandaloso da diventare il personaggio di un consesso amicale e familiare in cui a tutti viene dato un nome tranne che ai propri genitori, per tutto il libro semplicemente chiamati madre e padre. Forse anche per questo la definizione di “romanzo generazionale” tornò di moda negli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70 quando Le sere parve diventare un libro di culto. Destino paradossale per un libro che divenne tale senza mai venire considerato, pur essendolo, un classico. Anche per questo Tim Parks lo definì “non solo un capolavoro, ma una pietra miliare mancata della moderna letteratura olandese.”
Giuseppe Cocomazzi, su doppiozero.com scrive quelle che sembrano le parole giuste per concludere questo scritto “In tutto questo, Frits è un personaggio indimenticabile. La parodia non risparmia nemmeno lui, così consapevole che la vita in società è un gioco di ruoli.” Ecco perché Le sere è un libro così scomodo, anche oggi
Letteratura
Iperborea
2018
318