Sono un genio
lunare ed eccelso, di quelli epocali,
mai
visti, storici, e
millenarisitici, di quelli che fanno
mettere le mani nei capelli, e
gridare
madonna mia ma questo da dove
è uscito con le sue dinamiti e i
petardi
dei suoi
scoppietti al fulmicotone
all’acetilene, pura dinamite
distillata
tutta da spendere, a manetta, a
perdifiato.. L’avete, voi molti,
smorfiosi gesuitici scettici refrattari,
ma
soprattutto stolidi e invidiosi,
tentato di nascondere sino ad ora,
e
c’eravate pure
quasi riusciti a convincermi,
candido e credulo, razza appestata
di
imbroglioni sotteranei e risibili di
malevolenze mal dissimulate,
eppure no, ho alzato la cresta
immaginosa dei miei riccioli e ho
fatto le
boccace alle vostre gorgiere, ai
plettri
solari, alle teorie quantiche, e ai
chakra. E finalmente sono
sbocciato, nel
germogliante assurdo della mia
strampalataggine stratosferica.
Ora ballo sulla
corda della luna, suono la
trombetta del mio cinguettante
delirio, e me ne
vanto della mia strafottenza russa
e megalomane. Ballo sui vostri
cadaverini
smunti, e sulle vostre boccuce di
mogano e tetano. Appena sceso
per strada ho
divelto l’albero
del barbone tedesco a sinistra. Ma
ho risparmiato il barbone a cui ho
dato
un abbraccio pieno di populismo,
antiscuola di francoforte, pieno di
un calore
umano che l’ha reso uno
scheletrino incarbonito. Il ghigno
del mio
maestro spirtuale mi ha detto che
per strada ho
divelto l’albero
del barbone tedesco a sinistra. Ma
ho risparmiato il barbone a cui ho
dato
un abbraccio pieno di populismo,
antiscuola di Francoforte, pieno di
un calore
umano che l’ha reso uno
scheletrino incarbonito. Il ghigno
del mio
maestro spirtuale mi ha detto che
dolce che mi aspettavo. E allora
salgo
sull’elicottero in cima al platano
scolorito dallo smog metropolitano,
e
incendiato dal carbone di mille
rivolte studentesche, che ho
soppresso con il
manganello del mio fallo
gigantesco, e decollo verso il
vuoto del cielo pingüe e roseo di
questa primavera d’agosto, che
non cessa di
sbalordirmi d’ostriche e pinguini e
motteggio il pilota peloso che ride
del
mignolo con cui gli accarezzo il
naso. Il suo occhio non è né
pedante né
abbondante ma schiuma
involamenti pervicaci, ossi cimici e
pernici.
Voglio dire
che orbitiamo ora attorno alla
circonvallazione sinistra del centro
storico,
tra cui le melme pompose
dell’oblio hanno accartocciato delle
cortecce d’uovo
e dei tuorli mesti di abbandono.
Dirlo è riscattarli dall’oblio, e
insistere
sulla vocazione accomodante e
indulgente dell’arte. L’arte è dalla
mia parte,
e dirlo significa chiudere con le
pretestuose ciancie, e rendersi
devoto di quel monaco a
sinistra che prega con le mani
potate dal balcone astruso del mio
cuore.
“You felt crusched by the weight of
the old twentieth century. “(J.
Ashbery)
Stanze lente di cadenze stolte
Passi di vulcani spenti sotto le
attorte
Lame della mente
Trepida speranza di una foglia
che ringhia
Contro la smaniosa voglia di
singhiozzi
D’aereoplani, nani
Pensieri di fuoco fatuo
Amor che mai nato me
Prendi a me le mie stolide
Camicie d’arroganza in fosca
Danza strapazzate dal cumulo
Spezzato dei fonemi remi
Dell’augusta noia che mai invoglia
L’immagine di copertina è The shipwreck di William Turner, 1805