Diritti Umani riconosciuti e poi negati? Sergio Piro – Aldo Masullo
Di Maria Rosaria D’Acierno
Sostenitori dei diritti umani sono d’accordo nell’affermare che dopo 60 anni dall’approvazione della Universal Declaration of Human Rights (10 dicembre 1948), questa legge è più che una realtà un sogno, a causa di tutte le violazioni che si perpetuano in ogni angolo del mondo sui più svariati soggetti: donne, bambini, vecchi, emigranti, emarginati, lavoratori, ecc. ecc.. Ogni giorno assistiamo a fatti deplorevoli che coprono tutte le categorie sociali, naturalmente, i soggetti più colpiti sono quelli più deboli.
“Ognuno ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” dice l’articolo 3 dei Diritti Umani; ma quante volte ci accorgiamo che queste parole rimangono nel vuoto e non trovano riscontro nella nostra quotidianità. Dalle cosi dette morti bianche, quelle che infangano il diritto al lavoro procurando morte per la sola leggerezza o noncuranza di mettere in sicurezza impianti e impalcature aziendali, alle proposte indecenti, ai ricatti, ai soprusi negli ambienti di lavoro, fino ai maltrattamenti alle donne, ai bambini e soprattutto a quelle persone disperate, che per sfuggire alla morte, alla schiavitù, alla sottrazione dei propri organi, alla forzata costrizione di far parte di un esercito formato da bambini, bambini che vengono anche abusati sessualmente, fuggono e si imbarcano in condizioni disumane con la speranza di trovare rifugio in una terra che, pur non essendo la propria, potrebbe accoglierli e dare loro la sottile speranza di una vita per lo meno più umana.
“Nessuno dovrebbe essere tenuto in uno stato di schiavitù o di soggezione; la schiavitù e la tratta degli schiavi deve essere punita in tutte le sue forme” enuncia l’articolo 4. Ma le fragili imbarcazioni nelle quali si ammassano centinaia di profughi con il l’immagine della morte negli occhi, e il terrore di non raggiungere mai un altro lido, nonostante tutti i maltrattamenti che subiscono durante quei disperati viaggi, sono la testimonianza che gli schiavi sono ancora oggi oggetto di merce molto redditizia; una merce alla quale nessuno sembra voler rinunciare.
Anche l’articolo 13 non viene affatto considerato e quando si nega il soccorso ai barconi in pericolo delle onde minacciose del Mediterraneo, e quando li si lascia annegare in balia del mare, perché gli stati che dovrebbero accoglierli se ne ‘lavano le mani’ passandosi la ‘patata bollente’ di paese in paese, e quando, pur sapendo delle disperate condizioni igieniche e sanitarie che regnano nei barconi, perdono tempo discutendo o su chi dovrebbe accogliere questi disperati pieni di speranza e di fiducia nell’umanità o su chi dovrebbe prestare loro i primi soccorsi.
Articolo13 “Ognuno ha il diritto di scegliere la propria residenza e di muoversi liberamente all’interno dei confini di uno stato. Ognuno ha il diritto di lasciare qualunque paese, incluso il proprio e poi di ritornarci.”
I bambini sono coloro che più di ogni altro soffrono in questo mondo malvagio e noncurante, dove si è perso senza ritegno qualunque senso morale, qualunque riflessione se non riferita al denaro. Leggi, atti, decreti, e poi associazioni, convegni, summit, seminari, pur mettendo in luce la necessità di salvaguardare i diritti di tutti gli esseri umani, non riescono a proteggere i diseredati, e a far loro vivere una vita degna, quando addirittura non sopraggiunge la morte prematura, una morte devastante, anche perché vissuta minuto per minuto attraverso il dolore lacerante; dolore fisico oltre che quello relativo alla solitudine degli ultimi attimi di vita: il dolore della paura e del terrore di essere lasciati soli, sentimento che non li abbandonerà mai fino alla morte. Sono centinaia i bambini ritrovati senza vita, dal piccolo sulla spiaggia – Alan Kurdi, dall’adolescente con la pagella cucita nella giacca, fino al piccolissimo Zakaria, sgozzato con la punta di un vetro tagliente, solo perché accompagnava la madre, sunnita, nel viaggio verso Medina. Un bambino di sei anni, innocente; un bambino che potrebbe essere nostro figlio, il figlio di tutti, ma che la pietà umana non ha visto; quella pietà che ormai non trova più posto in nessun animo; e non dico animo umano, poiché ormai di umano non mi sembra di riscontrare alcunché in questo mondo. Un mondo nel quale si va di corsa, non ci si sofferma più su niente; un mondo nel quale non si pensa, non si riflette, tutto viene dimentico in fretta, e, soprattutto, un mondo privo di curiosità intellettiva. La conoscenza dovrebbe, infatti, non solo arricchirci mentalmente, ma, soprattutto, renderci più umani, nel senso che dovrebbe scolpire i nostri cuori ed aprirli alla comprensione degli altri, dovrebbe far emergere un mondo che è complice nel bene, un mondo dove si scopre, per dirla con Aldo Masullo, ‘l’intimità,’ o per dirla con Sergio Piro un insieme di ‘compresenze sinteliche’; una unione, che diventa simbiosi non solo con l’altro, ma con se stessi. Una comunione che ci unisce nella complicità; una complicità che si perpetua di essere in essere per farci associare in un unico grande abbraccio sotto gli stessi diritti.
Perché i diritti umani potrebbero proprio simboleggiare un grande abbraccio sotto il quale non ci sono differenze, ma ogni singola persona rappresenta tutta l’umanità. Un abbraccio che unisce anche oltre la vita, che si tramanda eternamente non solo riferito agli amanti, ma che lega tutto il genere umano per sempre. Una mano che stringe l’altra, simbolo di intimità, nel senso che l’uno si fa carico dei problemi dell’altro, delle sue pene e, poi, insieme le risolvono. Due mani legate, simbolicamente scolpite sulla pietra nelle tombe in epoca vittoriana, quando il sentimento era dominante. Una ‘intimità,’ un insieme di ‘compresenze sinteliche’ che non ci facciano sentire soli, che non ci isolino, estraniandoci dal mondo e da noi stessi, ma che ci diano la forza dell’unione (l’unione fa la forza). Una unione prima di tutto con se stessi, rompendo il ghiaccio con il proprio io, ed entrando in intimità con la propria soggettività, tanto da farci sgranellare la nostra “non-innocenza,” fino a congiungerla con quella “dell’intero universo umano in cui l’uomo è immerso (conoscenza traversante) sedimentata nell’interiorità/complessità di eventi numerosissimi e minutissimi fra loro interconnessi e senza posa interreagenti (continuità fra radiazione micro semiotica campale e flusso semantico individuale).”[1]
La “vissutezza del vissuto” dice Masullo, nel senso che ognuno di noi trova la vera essenza della propria vita nella corrispondenza con l’altro, non solo inteso come singolo, ma come moltitudine; dove il toccarsi l’uno con l’altro ti immette in una relazione di ‘intimità,’ di “relazione sintelica;” dove l’essere umano non è più solo, ma è parte integrante dell’altro; si forma un “aggregato telico a cui appartengono le singolarità confluenti,”[2] e si annulla l’individualità distruggente, quella individualità che non rappresenta altro se non la solitudine. Quella solitudine che attanaglia il nostro animo quando sopravviene una perdita relativa ad una persona cara; una perdita che ci destabilizza perché quella perdita si riferisce a tutte le intimità che si erano create con quella persona alla quale ci eravamo affidati, dati nel momento in cui davamo; una perdita come afferma Colin Murray Parkes che è tanto più terribile in quanto si associa a tante altre perdite legate a quella persona; una perdita che ci fa soffrire, perché sopraggiunge la solitudine.[3] Perché la solitudine non fa parte dell’essere vivente, sia umano che animale. Fin dalla nascita il bambino manifesta atteggiamenti di socializzazione, e cerca l’altro intorno a lui; atteggiamenti che poi saranno plasmati dalla cultura e dalle persone che lo circondano fino ad essere assorbiti nel suo più intimo comportamento. Quella solitudine che, al contrario, caratterizza la nostra era fatta di social, di internet, di notizie in tempo reale, notizie che si accavallano vorticosamente e nello stesso tempo si annullano, si cancellano. Un’epoca dove ci si mischia restando isolati nella mischia; dove “il vivente” dovrebbe essere “gettato nel mondo”; dove “Ognuno non vuole apparire altro che uno dei tanti. Ma non ha interesse che per se stesso. Pensa e agisce, si muove insomma nel mondo, come se fosse solo, come se fosse l’unico: egli non è relativo a nessuno, ma chiunque altro è relativo a lui.” La vita, al contrario, dovrebbe spingerci l’uno verso l’altro: “Pensare correttamente l’assoluto non della morte, il nulla, ma della vita, è pensare la relazione, l’illimitata relazione di relazioni.”[4]
Così, quello che lamentano i sostenitori dei diritti umani, vale a dire che la Dichiarazione è più che una realtà un sogno, ha due cause: 1) la tecnologia dell’era globale che tutti raggiunge in tempo reale, e, quindi, cancella all’istante ciò che è appena passato, annullando realtà tragiche e amare troppo in fretta, lasciandoci soli, e 2) l’ignoranza che non ci offre l’occasione di imparare e mettere a frutto la nostra conoscenza in un abbraccio comune. Infatti, quanti veramente conoscono gli articoli della Universal Declaration of the Human Rights, tanto da farne la loro base per richieste che salverebbero le loro vite e quelle degli altri? Si stima che il 90% delle persone non sarebbero capaci di nominare più di tre articoli. Ci è voluta una guerra mondiale e la morte di milioni di vittime innocenti per riunire le potenze mondiali al fine di creare una carta universale che mettesse in luce i diritti umani.
Quindi, lo studio di questo importantissimo documento, che dovrebbe essere introdotto nel sistema scolastico dall’asilo all’università, raggruppa tutti i diritti degli uomini, rendendoli tutti uguali nella loro singolarità, ed unendoli sotto il manto della fraternità. La forza delle parole contenute nei singoli articoli non solo deve arricchire la mente, ma deve cambiare lo sguardo, deve infondere e far emergere un profondo senso morale, deve cambiare la prospettiva di vita, soprattutto in coloro che hanno il compito di governare le nostre società, facendo in modo che i loro interessi personali non prevalgano su quelli di tutta l’umanità. Questo sarebbe il mio scopo, vale a dire diffondere la conoscenza della Dichiarazione dei Diritti Umani; scopo che si associa a quello perseguito dal centro ASRC (Asylum Seeker Resource Centre). Questa associazione protegge soprattutto quei migranti in cerca di asilo, i quali, invece, una volta raggiunte le sponde dell’Australia, vengono trasferiti in un carcere a duro regime dove sono loro negate addirittura le cure mediche e dove sono sottoposti ad umiliazioni sia fisiche che morali.
Il caso del giornalista Curdo-Iraniano, Behrouz Boochani, che con le sue memorie, scritte utilizzando WhatsApp in condizioni di disagio impensabili, poiché è detenuto nel carcere sull’isola Manus, è un altro esempio di come le parole hanno la forza di raggiungere la mente oltre che il cuore, hanno la forza di farci pensare, di farci riflettere e, quindi, si spera che abbiano anche la forza di cambiare il corso degli eventi. Non dobbiamo abbandonarci al destino, ma come diceva Sergio Piro, dobbiamo contribuire a dirigere la nostra destinazione. “Per salvare l’altro dalla disperazione dobbiamo aiutarlo a trovare la propria destinazione” aggiunse Aldo Masullo nel commentare un brano tratto da una allora recente pubblicazione di Amalia Mele, durante uno degli incontri tenuti a Palazzo Serra di Cassano a Napoli, nell’ambito dei seminari della Scuola Antropologico-Trasformazionale dell’a.a. 1994/5.
In breve, Piro e Masullo enfatizzano l’importanza dello stare ‘intimamente’ insieme, del darsi una mano, favoriti, aggiunge Piro, dall’andematica e dalla sintelica, l’una è “una disciplina provvisoria che tenta di narrare le interferenze catastrofali degli eventi umani, le relazioni, le traiettorie, l’attività trasformale cronodetica,” l’altra “tenta di narrare la storia dei legami che nascono dalla finalizzazione comune di un sotto-insieme umano …”.[5] La conoscenza traversante,[6] vale a dire quella ricchezza e complessità di conoscenze che attraversano il singolo devono dirigersi verso l’intera umanità.
Questo sembra essere anche il principio di Behrouz Boochani, il quale cerca di trasferire le esperienze devastanti del suo essere carcerato, non solo a tutti gli esseri umani, ma soprattutto ai politici per coinvolgerli in un magma trasformazionale che abbia la potenza di far cambiare le leggi anti Diritti Umani dell’Australia. Perché questo grande paese, pur nella sua civiltà, ancora non rispetta i diritti umani, che sfrutta politicamente con il finto scopo di proteggere le frontiere per tutelare i propri cittadini. Comunque, aiutato anche dal centro ASRC sembra che parte del suo scopo sia stato raggiunto, infatti, il suo libro No Friend But the Mountains, nonostante lui, disperato rifugiato sia trattato alla stessa stregua di un qualunque delinquente, ha ricevuto, proprio dal governo australiano, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari. ASRC, insieme a Behrouz Boochani, ci chiede di svegliarci, di aiutarli non solo con fondi che vanno ad essere spesi per cure mediche negate, ma soprattutto a sostenerli con le parole, in modo da esercitare una pressione che abbia la forza di mutare la mente dei politici che hanno in mano le sorti dell’umanità. Gli emigranti, cercano solo di condividere il mondo con noi, popoli più fortunati che non sono obbligati a fuggire dalle guerre, dalla fame, dagli abusi sessuali, dalle violazioni di tutti i diritti umani.
In una intervista telefonica con il TIME Behrouz Boochani ha detto:
È un sentimento paradossale. Noi rifugiati su questa isola (Manus) abbiamo affrontato un lungo viaggio e ora siamo qui da cinque anni. Così, quando assisto a tali sofferenze dei miei compagni di prigionia, non riesco a pensare a tanto riconoscimento per questo mio scritto, e a festeggiarlo. È un grande traguardo raggiunto da tutti i rifugiati del mondo che sono vittime di un regime autoritario. È un grande traguardo poiché abbiamo usato il potere, la potenza della parola scritta per cambiare questo sistema, questo modo di fare politica.
Il piccolo Alan Kurdi ritrovato sulla spiaggia morto annegato
(Febbraio 10, 2019) Zakaria Al-Jaber, sgozzato in Arabia Saudita: un angelo che guarda in alto, forse a quella mano tesa verso di lui che avrebbe dovuto aiutarlo. Ma la nostra mano si é ritratta, è stata ritirata dalla nostra indifferenza.
Siamo tutti responsabili con la nostra apatia ed indifferenza secolare
Maria Rosaria D’Acierno professore associato
[1] Piro S., Negli Stessi Fiumi, C.S.R. Edizioni, 1992; “non-innocenza: modalità di fanatismo a freddo che permette di realizzare obiettivi importanti d’esistenza con piena partecipazione emozionale, ma senza rimanervi sincronicamente incatenati e dia cronicamente prigionieri … : 129-137. Mele A., Piro S., I Mille Talenti, FrancoAngeli, 1995.
[2] “Un aggregato telico … forma gradatamente un proprio sistema doxico-ideologico locale, capace di differenziarsi transitoriamente o stabilmente dagli altri sistemi doxico-ideologici locali a cui appartengono le singolarità confluenti.” Mele A. Piro S. I Mille Talenti: 26.
[3] “Moreover, one loss often brings other secondary losses … The need to learn new roles without the support of the person upon whom one has come to rely … Apart from grief, two other factors that always play a part in determining the overall reaction to a bereavement are stigma and deprivation. By stigma I mean the change in attitude that takes place in society when a person dies. … Deprivation implies the absence of a necessary person or thing as opposed to loss of that person or thing. … Grief is the reaction to loss, loneliness the reaction to deprivation. … deprivation means the absence of those essential ‘supplies’ that were previously provided by the lost person.” Parkes C. Murray, Bereavement, Penguin Books, 1986: 21-29. Il rapporto con se stesso è molto importante anche per Parkes, il quale afferma che da esso dipende anche la nostra reazione a superare il lutto, con il cambiamento: “How someone copes with the challenge of change in their life will determine not only their view of the world but their view of themselves.”: 31.
[4] Masullo A., L’Arcisenso – Dialettica della solitudine, Quodlibet, 2018: 140-143.
[5] Mele A. e Piro S., I Mille Talenti,: 17.
[6] “L’uomo vive nella radiazione continua di eventi minutissimi che gli provengono dal mondo e che interamente lo attraversano. La ricchezza e la complessità di ciò che è conosciuto dal singolo coincide con la ricchezza e la complessità di ciò che è conosciuto dall’umanità. L’essere sociale dell’uomo è un insieme di linee traversanti …”Piro S. Negli Stessi Fiumi: 31.