Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

“Non sono bella, aveva mormorato Asta, la voce talmente impastata dai farmaci da essere appena comprensibile, ma la padrona di casa l’aveva capita, forse per tutti quei libri che aveva letto, la lettura sa aprire qualcosa dentro le persone. L’aveva capita e le aveva risposto, non sta a te giudicare”. Questa la Storia di Asta
La cifra di Stefánsson, autore molto presente in Iperborea, è l’ironia, un’ironia dalla quale traspare la verità, o almeno la verità dello scrittore. La lettura apre le persone e questa è la ragione principale per leggere Stefánsson anche in una bella e curata traduzione italiana come è quella di Silvia Cosimini, che ringraziamo. Ci sono però almeno altre tre ragioni per cui conviene leggerlo: perché non è convenzionale, perché apre il nostro sguardo, anche grazie alle note della traduttrice, sulla letteratura islandese che è abbastanza poco frequentata almeno in Italia, per la struttura artistica dell’opera, 479 pagine di un libro lungo e stretto come è tipico della struttura tipografica di Iperborea. Ásta, il cui nome contiene la parola islandese che significa amore, ást, più la lettera a finale, ha certo un ruolo da protagonista, ma ci sono comprimari assolutamente importanti nel libro, e che comprimari! Ci sono i suoi genitori Helga e Sigvaldi, sua sorella, suo contraltare che Sefánsson fa morire giovane, Sigrid, la matrigna, i suoi amori, fra i quali il bel giovane Jósef, che muore presto a causa della lontananza di Ásta e tanti altri. Qualche cosa in più apprendiamo sul suo nome e sulla letteratura islandese perché esso è stato tratto dai genitori dal romanzo di Halldór Laxness “Gente indipendente”. È questo uno spiraglio sulla letteratura islandese del XXesimo secolo (1934-1935). La non convenzionalità di Stefánsson è per lo meno duplice. Riguarda infatti l’immagine che ci dà dell’Islanda, oggi molto frequentata dai turisti per esempio per le aurore boreali, ma anche per i suoi fiordi, la natura dell’isola, e la struttura del romanzo, che egli apre così: “Certo, non è possibile, non più, sempre che lo sia stato, raccontare per filo e per segno la vita di un essere umano, dalla culla alla tomba, come si dice. Nessuno vive così. Da quando il primo ricordo mette radici nella nostra coscienza, smettiamo di percepire e pensare il mondo in maniera lineare, viviamo tutto allo stesso tempo, gli eventi passati e quelli che stanno accadendo. Eppure, il desiderio di continuità è molto forte. La continuità ci dà l’impressione che ogni vita abbia un senso, che non sia fatta di casi e di coincidenze ma sia sempre dovuta essere così – e in tal modo che anche il mondo abbia un suo scopo. Credo che questo spieghi perchè ho voluto raccontare la vita di Ásta a partire da quando è stata concepita. Ma è un errore”. Nel testo l’autore inserisce dunque una lunga considerazione critico-letteraria e filosofica per poi tornare alla narrazione: “È inverno, fuori l’oceano mugghia furioso“, frase, questa, che starebbe bene in una poesia…Significativa dell’anticonvenzionalità dell’autore la decisione di far cadere mortalmente a terra Sigvaldi, padre di Ásta, all’inizio del romanzo e di farlo morire alla fine:  in mezzo c’è la vita ricordata da Sigvaldi mentre è caduto a terra, e varie persone, donne tutte, lo accarezzano perché la fine è arrivata, mentre lui ricorda la sua vita e i ricordi vivono di vita propria, anche se sono i ricordi di Sigvaldi-Stefánsson. Anticonvenzionale, o non-convenzionale è la scelta di aprire la vita adulta di Ásta con il mancato  successo del suo tentativo di suicidio a Vienna ( che inizia la seconda parte), cui fa immediatamente seguito il suo soggiorno adolescenziale nei Fiordi Occidentali dopo l’episodio del pugno dato a Jói che voleva averla, ma senza successo. Ancora non convenzionale è la scelta di non descrivere i fiordi occidentali se non musicalmente: “Qualcuno sostiene che i Fiordi Occidentali assomiglino più a un brano musicale che a un paesaggio e che per questo sia inutile descriverli a parole, consunte e svuotate da molte migliaia di anni di utilizzo. Posso quindi risparmiarmi la fatica di descrivere i luoghi che circondano Ásta…” . Di fatto questa è una descrizione metaforica! E si potrebbe continuare. Ásta è certo una persona difficile a causa dell’abbandono della madre Helga da quando era piccina (viene adottata da una balia, donna ingenua e filosofa al tempo stesso), ma ritenere che “forse tutti dovremmo farci internare” è molto opinabile. Chi scrive lo è stata per un giorno e una notte. Basta e avanza di molto! Gli ospedali psichiatrici di Vienna o dell’Islanda non potrebbero essere paragonati a quelli di Roma. Molto interessante il “breve compendio di storia d’Islanda” centrato tutto sulla fienagione che occupa 20 righe a pagina 229: “la storia d’Islanda si riassume in primo luogo in una lotta instancabile per salvare il fieno dalla pioggia, riuscire a seccarlo e sistemarlo nel granaio. Per gli animali e per gli esseri umani è una questione di vita o di morte”. La parte del romanzo dedicata ai Fiordi Occidentali è tra le più belle del romanzo. Forse contiene una morale: vivere in città come Reykiavík fa stordire nella musica e nell’alcol. I Fiordi Occidentali sono un antidoto, perché si lavora per la vita e il benessere del Paese. Anche qui c’è mostra di non convenzionalità. Nei Fiordi dove Ásta viene mandata un’estate, da Arni, Kristín e Jósef Árni lega la madre che è vecchia ed ha perso la nozione del tempo, ad un ciocco di legno. Questa azione che sarebbe criticata da una mentalità conformista, ha la sua giustificazione. Kristín impedirebbe di fare il lavoro agli altri se vagasse e se si perdesse, sarebbe certo di nocumento a sè ed agli altri. Dunque un bel libro in cinque parti con epilogo, dove si può perdonare a Stefánsson il paragrafo, scrivere è lottare contro la morte – altri lo hanno saputo prima di lui – perchè qui è in funzione della struttura del romanzo dove Sigvaldi, caduto su un marciapiedi da una scala, lotta per raccontare al lettore i ricordi, essenza della storia. Una storia, saga, contemporanea.

La storia di Asta Book Cover La storia di Asta
Jòn Kalman Stefànsson
Letteratura islandese
Iperborea
2018
480