Città di morti, di Herbert Lieberman
Di Raffaele Izzo
Paul Konig è l’anatomopatologo più noto di New York. E’ duro e irascibile ma tutti ricorrono a lui per il suo intuito nel leggere le storie che i corpi raccontano. Mentre sta cercando di ricostruire l’identità di alcuni corpi fatti a pezzi, apprende che sua figlia Lauren è stata rapita. Si aprono così due fronti: il sergente Flynn deve scoprire l’assassino dei corpi smembrati mentre il detective Haggard cerca la figlia di Konig. Città di morti è un thriller che offre molti spunti di riflessione sia a livello tematico che formale. Innanzitutto assistiamo ad una vera tranche de vie di un’indagine, o meglio, di come si lavori in parallelo su più casi in una centrale di polizia. Lezione ripresa dal grande 87 Distretto di Ed McBain. L’operazione viene resa magistralmente usando a rotazione le prospettive dei tre protagonisti, il medico e i due detective. Dalla parte del patologo apprendiamo molte cose del suo passato, soprattutto del suo difficile rapporto con la figlia. Ma anche dolorose riflessione su quanto l’atteggiamento artistico/ossessivo verso quello che si fa, poco importa essere un pittore o un medico, comporti grandi sacrifici nella vita privata, nei rapporti umani. Paul Konig è un grande personaggio letterario, profondamente solo, sia fisicamente che a livello esistenziale, in questo accomunato ai due poliziotti. Ossessivo fino alla compulsione rende magistralmente l’idea della follia dell’artista. Onesto al limite dell’idealismo, sarà proprio questo carattere, molto individualista e sicuro di se, a gettare prima le basi della sua ascesa, poi in vecchiaia della sua caduta. Attraverso di lui assistiamo agli sporchi giochi di potere che schiacciano anche persone molto determinate. Anche Konig, paladino della giustizia, a fine carriera deve arretrare dinanzi agli enormi poteri che lo schiacciano. Ma questo romanzo è anche la fantastica ennesima storia della città per eccellenza, quella New York cara a tanti artisti. Anche qui tecniche magistrali al servizio del contenuto. Scritto tutto in presa diretta, usando verbi solo al presente, questo libro è una carrellata cinematografica in puro stile Scorsese. Ogni sotto-capitoletto inizia con un orario e il posto in cui si svolgerà la scena. In alcuni momenti si ha l’impressione di sconfinare nella forma diaristica, con risultati assimilabili più A sangue freddo di Capote che a un thriller contemporaneo (teniamo presente che questa è una ristampa , l’originale è degli anni settanta.). Di questa città centro dell’immaginario collettivo vediamo tutto il possibile, nei suoi aspetti più poetici e in quelli più crudi e violenti. L’autore sembra quasi voler far sua la poetica di Konig quando inizia la descrizione precisa, maniacale e ossessiva delle strade, degli incroci, degli store e di qualsiasi cosa finisca sotto la sua telecamera. Se sentite il bisogno di saltare queste parti magari staccate la lettura per un momento, perché sarebbe come perdersi le descrizioni ittiche nel Moby Dick. Un bel parallelo, a proposito dell’ossessione maniacale , sarebbe quello tra il labirinto delle infinite strade della città e quello degli organi umani in cui si addentra Konig. Infiniti collegamenti si aprono sotto i nostri occhi in entrambi i campi semantici. Anzi, sembra proprio che Lieberman si diverta moltissimo a creare labirinti linguistici complessi, siano essi fatti di ossa e carne o di strade. Resta l’aspetto stilistico. Una scrittura complessa, che unisce il minimalismo e l’asciuttezza dei dialoghi ad uno stile involuto e barocco nei sommari. Un’opera di non facile lettura, soprattutto per chi è abituato ai thriller contemporanei tutti azione colpi di scena. Qui si ha una stasi continua, pochissima azione e dilatazioni temporali molto forti. Lettore avvisato… Mi taccio
Poliziesco
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2018
505