Karen Blixen e il poeta
di Rossella Pretto
Ambientato a Hørsholm, Il poeta- ultimo racconto delle Sette storie gotiche di Karen Blixen-, sembra quasi un’anticipazione stregonesca di quel che accadde alla scrittrice nella vita reale, dal momento che proprio a Hølsholm, nella dependance che Jensen aveva messo a disposizione del suo gruppo di collaboratori di Heretica, nel marzo del 1948 la scrittrice incontrò quello che sarebbe stato uno degli amori più intensi travagliati e demoniaci della sua esistenza: Thorkild Bjørnvig.
Il racconto si incentra sulla figura del Consigliere di Camera Mathiesen che, ammiratore di Goethe e consapevole di non possedere doti poetiche, si convince che la sua missione consista nell’essere un protettore delle arti e in particolare di un giovane poeta spiantato e dedito al bere, Kube, che Mathiesen custodisce gelosamente e che creda debba romanticamente elevare la sua anima attraverso la sofferenza. Gli eventi precipitano quando Mathiesen incontra una giovane vedova della quale si innamora. Anche il poeta si innamora di lei così che la storia giunge ad una svolta tragica quando Kube, avendo progettato di togliersi la vita, si ritrova invece davanti il suo mecenate in procinto di sposare l’aerea creatura amata da entrambi e invece che far fuoco su se stesso, Kube spara a Mathiesen. Ma è la promessa sposa a dare a Mathiesen il colpo fatale gridando “Va’! Va’… poeta!”
Il poeta sopravvive dunque, non dovrà essere impiccato, perché la poesia è una forza soprannaturale che non si può estinguere e che agisce nel mondo attraverso il corpo che si è scelta.
Fu quello che successe alla Blixen che, diceva lei, aveva fatto un patto con il diavolo perché le concedesse il dono di raccontare le sue storie, dal momento che, a causa della sifilide, non poteva vivere un’esistenza tranquilla confortata dai doni dell’amore: dirottò quindi ogni sua energia, anche quella sessuale repressa, nella scrittura.
Quando incontrò Bjørnvig credette di ravvisare in lui il compagno tanto atteso, o meglio, il poeta da prendere sotto la sua ala e così stipulò con lui un patto, appunto demoniaco, con cui i due si impegnavano a votarsi l’uno all’altra. “Karen Blixen non faceva mistero del fatto che si aspettava da me risposte straordinarie in termini umani e poetici”, dice Bjørnvig nel suo libro di memorie scritto a venticinque anni di distanza e dedicato a quella specie di folie à deux che li travolse, intitolato Il patto: aveva promesso a Karen di scriverlo dopo la sua morte.Bjørnvig le affidava la sua anima in cambio di protezione e cure eterne, e lei, tirannica, assumeva il ruolo di mecenate che accudisce e pretende, sempre più. “Inebriata dal grado di influenza che riusciva ad esercitare su Bjørnvig, Karen dimenticò la complessa verità analizzata in L’antico cavaliere: che il rappresentante dell’era passata, gettandosi, pieno di ardimento, nel tempo moderno, è destinato a trasformarsi in una figura comica e compromessa, ancorché nobile. E dimenticò anche l’altra lezione ancor più sinistra, da lei stessa esposta in Il poeta, quanto cioè sia presuntuoso ed imprudente l’intromettersi nel destino di un altro”, dice Judith Thurman nella biografia della Blixen (Isak Dinesen, La vita di Karen Blixen, Feltrinelli, 1986).
Non a caso, per parlare di quel destino da figura comica e fuori dal tempo, la foto di copertina del libro di memorie di Bjørnvig ritrae la Blixen vestita da Pierrot: oltre che tirannica Karen era anche una donna estremamente giocosa e le piaceva fare scherzi, come quella volta che spedì Bjørnvig a prendere la contessa Caritas Bernstorff- Gyldensteen dopo avergli intrecciato i capelli di fresie, mandandolo in giro conciato in quel modo, con la testa caravaggesca che spuntava dal finestrino della sua auto. La contessa capì subito che era uno dei soliti scherzi dell’amica Tanne e ne rise.
D’altra parte, quel suo risvolto presuntuoso si manifestava pienamente nei simposi che la Baronessa organizzava a Rungstedlund dove il suo bisogno irrefrenabile di parlare si presentava come uno stato di eccitazione tra il sogno e l’erotismo, una sorta di trance da cui non poteva essere svegliata, se l’interlocutore non voleva incorrere nelle sue ire e nel suo disprezzo totale: “Vidi nei suoi occhi una concentrazione così totale da parermi terrorizzante: lo sguardo assente, in trance, d’un indovino che viva completamente in un altro spazio e tempo”, ricorda Nancy Wilson Ross (Isak Dinesen: A Memorial, a cura di Clara Svendsen).
Il patto poi venne infranto, anche se non ebbe a morirne nessuno: era un’altro tipo di morte che visse la scrittrice, quella che segue alla disillusione. Ma non per questo smise di scrivere perché il suo patto eterno e inscindibile fu quello con il demonio della penna.
L’immagine di copertina è de Il patto, la mia amicizia con Karen Blixen di Thorkild Bjornvig, Edizione Adelphi