La lettera di Gertrud, di Bjorn Larsson
Di Anita Mancia
È con un certo stupore ed emozione che si apre e si legge questo libro così diverso dalle storie di mare, dai gialli di mare e dalle storie di pirati che costituiscono l’humus in cui si radicano l’esperienza e la cultura dello scrittore Biörn Larsson. Tutt’altra è la storia, che certo risente del multiculturalismo che permea le nostre società occidentali ed europee di questo primo decennio di terzo millennio. Martin Brenner sparge al vento le ceneri della madre Maria, morta da poco, alla presenza della moglie Cristina e della figlia Sara. Ma quello che Martin prova non è un dolore sufficiente, è un dolore velato: “Tra loro c’era come una pellicola, un velo sottile, un vetro appannato, nel migliore dei casi una foschia mattutina che avrebbe dovuto dissolversi al sole nel corso della giornata. Ma non si era mai dissolta“. Martin è un genetista non credente e la moglie è una ginecologa, responsabile della sala parto dell’ospedale della città dove vive. Neanche lei è credente. La figlia è una studentessa fra gli undici e dodici anni, appassionata di cavalli. Poco dopo la morte della madre Maria, Martin viene convocato dall’avvocato Levin per importanti comunicazioni al riguardo della madre morta il cui nome non è Maria ma Gertrud e la cui famiglia, vittima dei campi di concentramento tedeschi, è originaria di Trieste. Lei è l’unica sopravvissuta ebrea al lager. Levin legge la lettera di Gertrud in cui la madre di Martin, oltre a svelare la sua identità lascia al figlio la libertà di poter essere o non essere ebreo, dato che non è stato circonciso. L’accertamento del padre offre anche una sorpresa, perchè non è il tedesco con simpatie naziste che Martin credeva che fosse, ma un ebreo anche lui, che si rivelerà essere il rabbino Golder. Il problema è se Martin accetterà di essere ebreo. Egli non vuole e crede che l’identità ebraica non si acquisti geneticamente, per linea matrilineare. Martin è un umanista, crede nel libero arbitrio, nell’amore come sorgente dell’identità che si sceglie e che non è definitiva, ma può cambiare nel tempo. Per questa ragione, poichè tardi gli è stato rivelato di essere ebreo, si dedica a studiare casi di persone che tardi hanno saputo di essere ebree ed hanno variamente preso decisioni al riguardo. Qui il testo del romanzo si fa saggio, ma resta sullo sfondo il fatto che Martin non parla della madre ebrea ai suoi familiari e comincia a dire una serie di bugie quando il rabbino Golder regala a Sara un pendente appartenente alla nonna. Altre bugie o reticenze Martin dice e mostra in ufficio al suo amico ebreo Samuel. Un primo punto di rottura del silenzio su di sè, appare quando partecipa alla manifestazione che segue l’attentato alla sinagoga, la marcia della kippah, indossando il caratteristico copricapo, la papalina attaccata con una molla e una giacca fluorescente verde con su scritto “non sono ebreo”. Questo atteggiamento produce irritazione tanto negli ebrei quanto negli antisemiti che lo considerano una provocazione. E non è finita. Infatti quando Martin decide di partecipare a un congresso a Montréal, dopo aver pronunciato il suo intervento concludendo che “i criteri di cittadinanza di Israele erano sostanzialmente gli stessi usati dai nazisti per determinare chi fosse ebreo ed andasse eliminato“, all’accusa di essere antisemita, risponde, a mo’ di esempio: “Per esempio in questo contesto è del tutto irrilevante che mia madre sia una sopravvissuta ad Auschwitz“, rivelando in un contesto pubblico un problema personale (ma è poi veramente personale?) che avrebbe dovuto essere affrontato in sede privata con moglie e figlia. Invece sarà la stampa a diffondere questa notizia creando scandalo. A pagina 292 si apre la seconda parte del romanzo-saggio scientifico con la tragedia familiare di Martin e a pagina 357 si configura l’incontro di Martin con lo scrittore (forse proprio Björn Larsson) che durante un breve viaggio in barca a vela raccoglie le testimonianze di vita di Martin e il suo superamento della fase di dolore profondo anche grazie al viaggio in barca con un elemento, il mare, che aiuta a vedere le cose in altro modo, con ritmo lento e pacato. Il viaggio per mare mi sembra un’irruzione nel testo dell’io dello scrittore invocato qui come autore di una biografia, quella di Martin, che riconosce di condividere molte cose con l’autore e fra queste soprattutto “percepivamo entrambi la libertà come una frattura tra ereditarietà e ambiente, e avevamo vissuto in diversi paesi“. La preparazione del libro avviene durante il viaggio sulla Stornoway, quindi sul tempo del mare. Il libro non ha una fine ma mostra un Martin Brenner che nell’ultimo tempo della sua vita si avvicina al Rabbino Golder e gli è vicino fino alla morte partecipando al periodo del lutto che condivide con gli ebrei. Di più, Martin si innamora di Dorotea, quando ormai non credeva di innamorarsi più, ma non vuole figli da lei. Martin aveva ricevuto grande consolazione dal rabbino Raul Golder che aveva preso parte ad una conferenza tenuta alla sinagoga dal genetista. Questi aveva escluso che fosse possibile determinare l’identità ebraica attraverso geni Dna o Rna. Il rabbino Golder nel ringraziare tutti aveva fatto riferimento a “Martin Buber, che la presenza di Dio nel mondo non era soltanto, e forse nemmeno in primo luogo verticale, ma orizzontale, interpersonale, non solo tra ebrei ma tra tutti gli esseri umani, indipendentemente da religione, fede e appartenenza etnica“. Un libro complesso, questo, tra racconto e saggio storico-filosofico letterario che ha, non a caso una corposa bibliografia sul tema dell’ebraicità. (Libri letti da Martin Brenner). Tema che mi tocca da sempre da che ho intrapreso lo studio della lingua ebraica.
Letteratura
Iperborea
2019
457