Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

Di Anita Mancia

Un libro esile ed essenziale quello della scrittrice e psicologa Anne Catherine Bomann, che affronta tematiche profonde: la cura, la vita e la morte. Al centro del racconto uno psicologo senza nome, io narratore,  che sta vivendo una vita apparentemente egoistica e solitaria, in attesa che si compiano i giorni della pensione, cinque mesi di lavoro prima di 72 anni. In realtà una vita sì solitaria e senza amore, ma fatta di ascolto profondo ed attenzione agli altri, non necessariamente sfociante nella capacità di aiutarli a vivere meglio. Ciò che colpisce di questo medico è che è afflitto dall’ansia, da piccole manie, da attacchi di panico come i pazienti che cura. Tutto ciò ce lo rende particolarmente vicino ed umano. Quando visita siede su una poltrona dietro al lettino dei suoi pazienti per metterli a loro agio e farli parlare più liberamente. Due fatti si producono nella vita di questo psicologo alle soglie della pensione: l’arrivo di una nuova paziente, Agathe Zimmermann, che vuole essere assolutamente curata da lui, anche se la sua patologia è grave, perchè ha tentato il suicidio ed è stata ricoverata, e che viene accettata dalla segretaria del dottore, e dal dottore stesso a malincuore, e la morte di Thomas,  il marito della sua segretaria, madame Surrugue. Sono toccanti i due dialoghi fra lo psicologo e Thomas (dov’è la morte 92-95; Caffè 116-118), che la presenza del dottore aiuta davvero a morire, a lasciare il resto delle cose tranne che la moglie amata, poichè  grande è la potenza dell’ascolto e dell’amore.  Gli incontri con Agathe che scandiscono il romanzo sono dodici. Tanto la morte di Thomas quanto le visite di Agathe e il ritorno al lavoro di Madame Surrugue scandiscono e producono nuove decisioni nell’animo del dottore (fare piazza pulita 129-132; casa 149-151).Quello che colpisce di questo racconto è l’uso di vocaboli apparentemente banali, quotidiani e di uso comune da parte del dottore quando parla con i pazienti o con i loro parenti. Così per esempio  per definire monsieur Thomas Surrugue non trova di meglio che dire  “era un brav’uomo“. Agathe si rivelerà sorgente di vita e di amore per il dottore, che deve lottare per mantenersi nei limiti della professionalità e non valicarli. La riflessione di Baumann sulla vecchiaia è lucida e nitida già nelle prime parti del testo, quando il dottore fa entrare dei pensieri tristi perchè vuole autocommiserarsi: ” Perchè… nessuno racconta mai cosa succede al corpo quando s’invecchia?… Invecchiare -pensavo, sentendomi invadere dall’amarezza – significa soprattutto vedere crescere la differenza fra il proprio  io e il proprio corpo, finchè un giorno si diventa completamente estranei a se stessi. Che cosa c’è di bello o naturale in questo?“. Una base in taluni soggetti, per la depersonalizzazione. Insomma un libro essenziale scritto con una scrittura antiletteraria, semplice, chiara e nitida anche quando tratta materie complesse,che rifugge ogni retorica. Si legge piacevolmente.

L'ora di Agathe Book Cover L'ora di Agathe
Anne Cathrine Bomann
Letteratura
Iperborea
2019
153