Di Anita Mancia
Un libro esile ed essenziale quello della scrittrice e psicologa Anne Catherine Bomann, che affronta tematiche profonde: la cura, la vita e la morte. Al centro del racconto uno psicologo senza nome, io narratore, che sta vivendo una vita apparentemente egoistica e solitaria, in attesa che si compiano i giorni della pensione, cinque mesi di lavoro prima di 72 anni. In realtà una vita sì solitaria e senza amore, ma fatta di ascolto profondo ed attenzione agli altri, non necessariamente sfociante nella capacità di aiutarli a vivere meglio. Ciò che colpisce di questo medico è che è afflitto dall’ansia, da piccole manie, da attacchi di panico come i pazienti che cura. Tutto ciò ce lo rende particolarmente vicino ed umano. Quando visita siede su una poltrona dietro al lettino dei suoi pazienti per metterli a loro agio e farli parlare più liberamente. Due fatti si producono nella vita di questo psicologo alle soglie della pensione: l’arrivo di una nuova paziente, Agathe Zimmermann, che vuole essere assolutamente curata da lui, anche se la sua patologia è grave, perchè ha tentato il suicidio ed è stata ricoverata, e che viene accettata dalla segretaria del dottore, e dal dottore stesso a malincuore, e la morte di Thomas, il marito della sua segretaria, madame Surrugue. Sono toccanti i due dialoghi fra lo psicologo e Thomas (dov’è la morte 92-95; Caffè 116-118), che la presenza del dottore aiuta davvero a morire, a lasciare il resto delle cose tranne che la moglie amata, poichè grande è la potenza dell’ascolto e dell’amore. Gli incontri con Agathe che scandiscono il romanzo sono dodici. Tanto la morte di Thomas quanto le visite di Agathe e il ritorno al lavoro di Madame Surrugue scandiscono e producono nuove decisioni nell’animo del dottore (fare piazza pulita 129-132; casa 149-151).Quello che colpisce di questo racconto è l’uso di vocaboli apparentemente banali, quotidiani e di uso comune da parte del dottore quando parla con i pazienti o con i loro parenti. Così per esempio per definire monsieur Thomas Surrugue non trova di meglio che dire “era un brav’uomo“. Agathe si rivelerà sorgente di vita e di amore per il dottore, che deve lottare per mantenersi nei limiti della professionalità e non valicarli. La riflessione di Baumann sulla vecchiaia è lucida e nitida già nelle prime parti del testo, quando il dottore fa entrare dei pensieri tristi perchè vuole autocommiserarsi: ” Perchè… nessuno racconta mai cosa succede al corpo quando s’invecchia?… Invecchiare -pensavo, sentendomi invadere dall’amarezza – significa soprattutto vedere crescere la differenza fra il proprio io e il proprio corpo, finchè un giorno si diventa completamente estranei a se stessi. Che cosa c’è di bello o naturale in questo?“. Una base in taluni soggetti, per la depersonalizzazione. Insomma un libro essenziale scritto con una scrittura antiletteraria, semplice, chiara e nitida anche quando tratta materie complesse,che rifugge ogni retorica. Si legge piacevolmente.
Letteratura
Iperborea
2019
153