Chi ha già letto il suo Nelle foreste siberiane, sempre pubblicato da Sellerio, ritroverà in questo Sentieri neri molti di quegli elementi che fanno di Tesson un vero maestro della letteratura odeporica. Una letteratura di viaggio che non è solo resoconto di uno spostamento da un luogo all’altro ma riflessione filosofica e esistenziale. In cui le pagine, le parole e le frasi, echeggiano il rumore dei passi sia che si tratti di raccontare sei mesi di isolamento e di eremitaggio sulle rive del Lago Bajkal, sia di riportare sulla carta il suo cammino nella Francia più selvatica. Un viaggio a piedi dalla Provenza alla Normandia. Lungo una diagonale da sud est a nord ovest che pare quasi la rappresentazione cartografica e geografica della sua stessa scrittura. Una diagonale che, per sua natura, sembra fornire quello sguardo obliquo necessario affinchè più dettagli restino ad esso impigliati.
Nel libro Nelle foreste siberiane scrive “Mi ero ripromesso che prima dei quarant’anni avrei vissuto da eremita nei boschi. Sono andato a stare per sei mesi in una capanna siberiana, sulla sponda del lago Bajkal […] Mi sono portato libri, sigari e vodka. Il resto – spazio, silenzio e solitudine – c’era già”.
Qui, nel suo Sentieri neri, invece: “Durante quelle settimane di marcia avrei tentato di posare sulle cose il cristallo dello sguardo senza il velo delle analisi e il filtro dei ricordi.”
E in questi due passaggi c’è non solo il filo che tiene insieme i rispettivi libri ma, ancor più, la trama del suo stesso scrivere. Che è un attraversamento comunque spoglio, là di elementi di paesaggio, qui di un superfluo approfondimento. Il suo rifiuto dell’analisi è proprio l’apparente ossimoro del superfluo approfondimento. Tesson in Sentieri neri non ha bisogno di approfondire perché è la superficie stessa del suo camminare che diventa controcanto delle sue considerazioni. Che abbracciano la società, la violenza che viene perpetrata sul paesaggio, quel malinteso senso del progresso che ha portato a considerare inutile tutto ciò che è antico. Il suo vagare per quella Francia più defilata, lungo sentieri talmente autentici da non riportare neanche il nome di chi li ha creati, dormendo sotto gli alberi o all’ombra di qualche edicola votiva sono pennellate che non necessitano di esegesi o commenti a margine. Cosa c’è, infatti, da aggiungere rispetto alla nostra insipienza di uomini 2.0 a una frase come questa: “Nei Cosacchi di Tolstoj c’è questo episodio: un vecchio soldato porta nella foresta un gruppo di giovani cadetti russi appena usciti dalla scuola militare. Sono ufficiali brillanti, hanno un’istruzione, dei diplomi, delle medaglie, eppure non vedono le tracce degli animali sul terreno, non sanno decifrare i segni del vento tra gli alberi. E il vecchio dice: Sono sapienti ma non sanno niente.”
O ancora: “La ruralità si ergeva a principio di resistenza contro quella follia collettiva. Scegliendo la sedentarietà, si creava un’isola nella corrente. Inoltrandosi per i sentieri, si navigava da un’isola all’altra. Da un mese mi facevo strada in quell’arcipelago.” Non dice, questa considerazione, già tutto ciò che si può dire sulla differenza che c’è tra la solitudine di noi uomini iperconessi e niente altro che monadi e la solitudine di chi eleva l’isolamento a sola possibilità per immergersi davvero nella vita?
I sentieri neri non sono comodi e non sono neanche quelli che più velocemente conducono da un luogo all’altro. Non sono fatti per partire e arrivare. Proprio come la vera letteratura odeporica che, proprio per questo, è l’antitesi del banale libro di viaggio o della ancora più banale guida turistica. La letteratura di Tesson, in questo libro alla sua massima espressione (almeno fino ad ora) è sguardo che da estetico diventa etico, consapevole di come guardare non sia mai un atto neutro. Cos’altro è, se non questo, il suo soffermarsi su alcune delle formule linguistiche della “pianificazione territoriale” che parla di utenti degli spazi boschivi, oppure che bisogna spalmare l’urbanizzazione, o ancora rompere l’isolamento. La critica ad un linguaggio che in sé già contiene tutta la violenza fatta ai luoghi nasce dall’aver guardato, prima di tutto, quei luoghi stessi. E avere, attraverso ciò, compreso la cecità degli uomini, messa in guardia dalle parole di Jean Cocteau e riportate da Tesson: “Il progresso potrebbe essere lo sviluppo di un errore.”
Dunque Sentieri neri non è, a questo punto appare evidente, solo il racconto del cammino di Tesson in quella sorta di spina dorsale francese, ma ancor più un grido, però sobrio, di quanto e come, luoghi e umanità, paesaggio e società, rispondano infondo alle stesse regole, o meglio risponderebbero, se ogni cosa non fosse predisposta per essere controllata e resa proficua economicamente, anche il disagio. E allora: “Fiorirono le insegne degli ipermercati e il piccolo commercio fu travolto. Mammouth spazzò via con un colpo di coda i bistrot che la mattina servivano i pastis alle anime assetate. Ormai chi voleva ubriacarsi doveva comprare una bottiglia al supermercato.”
Letteratura odeporica
Sellerio
2018
152