“La Fortuna e’ cieca e addirittura senza occhi, perché prodiga sempre i suoi favori ai malvagi e a chi non lo merita, e tra gli uomini non sceglie mai nessuno con criterio, ma anzi si accompagna per lo più a persone tali che, se ci vedesse, dovrebbe assolutamente evitare e, ciò che e’ ancor peggio, conferisce a noi uomini una reputazione molto diversa, anzi proprio alla rovescia, così che il malvagio si gloria della nomea di uomo dabbene e l’uomo più innocente del mondo viene colpito dalla fama di criminale.”
Questa riflessione sulla fortuna appartiene a un’opera straordinaria, “Le metamorfosi” di Apuleio, che ci è pervenuta completa e si può considerare alla stregua di un vero e proprio romanzo, poiché ne presenta i caratteri distintivi tipici sebbene tale denominazione, come sappiamo, moderna e di molto posteriore, non sia contemplata tra i generi letterari della classicità. Sarebbe molto complesso riportarne il ricchissimo e intricato contenuto con le varie implicazioni che citerò brevemente più avanti, ma una peculiarità distintiva dell’opera è che si presta a varie chiavi di lettura, in primis quella più immediata di una storia d’intrattenimento. Senza dubbio Apuleio si ispirò a Luciano di Samosata, autore greco di una novella dalla trama simile dal titolo “Lucio o l’asino” , a sua volta tratta da una piccola opera greca, denominata l’Asino d’oro, scritta da un certo Lucio di Patre di cui ci dà notizia il patriarca Fozio. Purtroppo non abbiamo altre informazioni su Lucio di Patre né resti della sua opera, per cui rimane un’ipotesi. Apuleio ampliò la vicenda e inserì una parte finale del tutto originale, ma soprattutto una componente mistico-religiosa.
Immaginate un viaggio straordinario compiuto da un giovane di nome Lucio, animato da un’innata curiositas, in altre parole una bramosa, spiccata e vivace curiosità intellettuale (che si può definire anche sete di conoscenza), che lo porta, dopo un periglioso cammino, costellato da incontri con bizzarri personaggi e atmosfere ricche di mistero, in Tessaglia, patria indiscussa della magia dove gli capitano peripezie non meno strane e inquietanti.
A casa del suo ospite, il ricco Milone, la cui moglie Panfila è maga, con la complicità della sensuale servetta, divenuta sua amante occasionale, Lucio subisce per sbaglio una trasformazione in asino che lo degrada a una vita abietta, irta di pericoli, sempre perseguitato da una fortuna avversa. In realtà Lucio voleva trasformarsi in volatile, incuriosito dopo aver spiato Panfila che si era mutata in gufo, ma la servetta sbaglia nel porgergli clandestinamente l’unguento magico. Ecco il momento della trasformazione:
[…]Liberatomi in fretta di tutti i vestiti, immersi avidamente le dita nel barattolo e preso un bel po’ di unguento me lo spalmai su tutto il corpo. Poi, agitando le braccia su e giù mi misi a fare l’uccello, ma niente: penne non ne spuntavano e nemmeno piume; piuttosto i peli cominciarono a diventare ispidi come setole, la pelle, delicata com’era, a farsi dura come il cuoio, alle estremità degli arti le dita si confusero, riunendosi in una sola unghia e in fondo alla colonna vertebrale spuntò una gran coda. Poi eccomi con una faccia enorme, una bocca allungata, le narici spalancate, le labbra penzoloni, mentre smisuratamente pelose mi erano cresciute le orecchie.
Immaginate una società cosmopolita variegata ed eterogenea, (un melting pot ante litteram), vista con gli occhi di Lucio-asino, che mantiene inalterate le capacità intellettive umane e diventa la voce narrante, descrivendo le sue mirabolanti disavventure in balia dei vari padroni: briganti assetati di bottino, sanguinari e crudeli assassini, che nel loro covo raccontano incredibili ed efferate razzie da loro compiute, una turpe combriccola di cinedi, sacrileghi finti sacerdoti, un mugnaio per il quale Lucio deve girare incessantemente una macina mentre assiste a intrighi e adulteri, un povero ortolano che a stento riesce a nutrirlo, un legionario violento, un pasticcere e un cuoco presso i quali Lucio assume abitudini quasi umane, una matrona di alto rango che s’innamora di lui e con cui si accoppia e infine la condanna a una parte in uno spettacolo pubblico in cui dovrà unirsi carnalmente con una feroce assassina, umiliazione da cui Lucio si salva con una fuga.
Dopo aver pregato la dea Iside in riva al mare, compiuti una serie di riti, mangia un cespuglio di rose, antidoto alla pozione magica, riacquista la forma umana e si converte al culto di Iside.
La particolarità dell’opera consiste nell’inserzione di un’altra vicenda, la celebre e complessa fiaba di Amore e Psiche che occupa una parte notevole del libro, costituisce una sorta di doppio della vicenda di Lucio con un valore simbolico, e’ infatti un’allegoria dell’anima che deve attraversare tante avversità per giungere ad uno stadio di purezza: anche Psiche, come Lucio, subisce una punizione per la sua curiositas ma poi si redime con dure prove e si ricongiunge a Eros.
Psiche era una fanciulla di una bellezza straordinaria, quasi divina tanto da essere paragonata a Venere e suscitarne l’invidia. Ma tanta grazia e venustà furono per la ragazza causa d’infelicità e solitudine.
Psiche è esposta per ordine di un oracolo e salvata da Cupido che, contravvenendo agli ordini della madre Venere, la conduce in un palazzo fatato, ne diventa il suo amante misterioso a patto che lei non tenti mai di accendere un lume per vederlo o sparirà per sempre.
La curiositas di Psiche e l’invidia delle sorelle la spingono ad un peccato di hybris poiché non si attiene alle promesse fatte al suo invisibile sposo, e, nonostante i suoi continui ammonimenti, la sua volontà vacilla e cede. Per riavere il suo amore perduto dovrà affrontare delle incredibili prove imposte dalla crudeltà della dea Venere, il cui superamento è un percorso di maturazione e formazione, una presa di coscienza dei propri errori causati dall’irruenza giovanile, dall’ingenuità eccessiva, dalla smodata curiositas, motivo portante dell’opera di Apuleio che accomuna Lucio e Psiche. Entrambi i personaggi, infatti, vengono alla fine salvati da un atto di volontà divina che pone fine alle loro sofferenze.
Il romanzo sembrerebbe quindi una vicenda avventurosa, infarcita anche di licenziose storie ispirate alla novellae milesiae, (racconti di carattere per lo più erotico), ma non è solo questo, poiché racchiude elementi religiosi, propri della vita di Apuleio che si convertì realmente al culto di Iside e compì un itinerario iniziatico, (gli XI libri dell’opera si riferiscono agli undici giorni di iniziazione degli adepti al culto isiaco), e’ presente la magia, a causa della quale Apuleio subì un processo e fu costretto a scrivere un’apologia per difendersi, contiene spunti filosofici in quanto l’autore si definiva platonico: e’ proprio nel Fedone che si legge che coloro che in esistenze precedenti sono stati particolarmente inclini ai piaceri della carne torneranno in vita in forma di asini e bestie da soma, mentre il Fedro ed il Simposio vengono considerati le fonti per la storia di Amore e Psiche, nella duplice natura di Eros e Afrodite.
Si può a buon diritto considerare quest’opera la prima fiaba della tradizione letteraria occidentale, perché riassume e anticipa tutte quelle caratteristiche che sono note come funzioni di Propp dal nome di colui che studiò la morfologia di questo genere letterario.
E’ impresa non semplice analizzare tutti gli elementi che rendono quest’opera complessa e originale, ma chi avesse la voglia di tuffarsi in incredibili e spassose avventure può farlo con questo straordinario romanzo.
Letteratura latina
BUR
2013
769