Australia! Canguri? Nah, anche Musica! Nella fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80 questa nazione non si è fatta mancare proprio niente, riuscendo sapientemente a creare un calderone magistrale di validissime band. In Inghilterra, in quegli anni, i generi predominanti sono post punk e new wave, mentre negli Stati Uniti abbiamo il boom del revival folk psichedelico. L’Australia si collega soprattutto su quest’ultimo filone ma non ha bisogno di frivoli copia e incolla, bensì riesce ad esplicare uno stile decisamente riconoscibile e un valore artistico sicuramente alla pari con quello inglese e americano.
Il primo nome di spicco che mi viene in mente sono ovviamente i Birthday Party di un certo Nick Cave. La potenza e lo spessore di questa band registra subito un clamore in Inghilterra, tanto da farsi conoscere dal guru John Peel e collaborando con Lydia Lunch, cantante dei Teenage Jesus & The Jerks e regina indiscussa del movimento no wave. “Prayers On Fire” (1981) e “Junkyard” (1982) sono due album animaleschi, ossessivi, triviali, dissacranti, distruttivi. Nick e soci rappresentano l’avvento della devastazione musicale. Il punk viene estremizzato così tanto che si trasforma in un rito voodoo blasfemo, drammatico, erotico, drogato e intriso di teatralità e poesie drammatiche.
Con Foetus, progetto dell’immenso J. G. Thirlwell, si rimane su lidi pericolosi e rumorosi, visto che si tratta di uno degli inventori di quell’industrial fusa con isterici cabaret, teatro schizoide e scosse funk furibonde. “Deaf”, “Ache”, “Hole”, “Nail” e “Thaw”, album che vanno dal 1981 al 1988, sono la perfetta sintesi di tutto ciò. Un genio da non perdere assolutamente!
Gli SPK non hanno nulla da invidiare ai Throbbing Gristle e ai Test Dept. Si spostano in Inghilterra dove si immergono nella scena industrial con assalti frontali del calibro di “Mekano”, “Germanik”, “Slogun”, “Contact”, “Metal Field”, “Metal Dance” e l’album “Information Overload Unit”.
I Dead Can Dance sono un duo colossale, formato da Brendan Perry e Lisa Gerrard nel 1984, che ha percorso infiniti labirinti sonori. L’estro e la magia di questa band sono un qualcosa di irripetibile. Il sound è intriso di gothic, dark wave, ambient, musica etnica e ammalianti sinfonie. I primi quattro lavori rappresentano un must eccezionale. “Xavier”, “Anywhere Out Of The World”, “Avatar”, “Advent”, “Mesmerism”, “Frontier”, “In Power We Entrust The Love Advocated”, “Ullyses”, “The Cardinal Sin” e “The Host of Seraphim” sono solo alcuni dei brani colossali.
Gli Australian Crawl, invece, sono molto vicini alla wave inglese e trionfano nel 1983 con la sublime “Reckless“, che raggiunge il primo posto nelle Australian Singles Charts. Sempre su questa sponda si innalzano i celebri Icehouse, firmatari di hit planetarie come “Hey Little Girl” (la prima canzone australiana con la Linn drum machine) e “No Promises”, la wave perfetta di “Don’t Believe Anymore”, “Street Cafè” e “icehouse”, le ammiccanti “Crazy”, “Electric Blue” (i loro ultimi successi), il magistrale evergreen di “Great Southern Land” e la sublime delicatezza di “Man Of Colours”.
Come non citare gli INXS di “Never Tear Us Apart”, “Original Sin” e “Don’t Change” e i grandiosi Crowded House, autori di brani eccezionali come l’irresistibile “Something So Strong”, la sognante “Fall At Your Feet”, i colori estivi di “Weather With You”, le magistrali “Distant Sun” e “Istinct” e le eteree “Nail In My Feet”, “Fingers Of Love” e “Private Universe”. Farei una parentesi anche con gli Split Enz, band miracolosa nata in Nuova Zelanda. L’esordio nel 1975 con “Mental Notes” è a dir poco sconcertante. “Under The Wheel”, “Titus”, “Time For A Change” e “Stranger Than Fiction” sembrano essere uscite da un album dei Genesis o dei Family, e non sto scherzando!
Insomma la prima fase è una specie di prog sinfonico intriso di glam e folk, mentre il secondo periodo si assesta su sonorità art rock osannato da hit come la disarmante “I Hope I Never”, “Missing Person”, “History Never Repeats”, “Bold As Brass”, “Hard Act To Follow” e “One Step Ahead”.
Il filone folk psichedelico / alternative lo inauguro con i Died Pretty, autori di un interessante EP dal titolo di “Next To Nothing”, contenente due saggi di spessore (“Ambergris” e “Desperate Hours”) e di un album che rappresenta una pietra miliare del genere, “Free Dirt”. Qui troviamo gemme come “Life To Go”, “Just Skin”, “Next To Nothing” e “Blue Sky Day”, brano carichi di pathos, jam acide e feedback in loop. Da non perdere!
Proseguiamo con gli Hoodoo Gurus, che vengono ricordati grazie a singoli perfetti come le ammiccanti “I Want You Back”, “What’s My Scene” “Bittersweet” e “Come Anytime”, senza dimenticare tracce come “Out That Door” e “1000 Miles Away”, che farebbero invidia ai Dinosaur Jr.
Gli Hunters & Collectors sono stati un punto di riferimento per il sound australiano. Linee funky cariche di adrenalina, basso morboso e voce formidabile sono gli ingredienti giusti per firmare capolavori come “Do You See What I See”, “When The River Runs Dry”, “Talking To A Stranger”, “Say Goodbye”, “Run Run Run” e “The Slab”. Merita di essere elogiato anche il loro lato più dolce, mandato in gloria dalla sublime “True Tears Of Joy”, una ballad da pelle d’oca e dal folk di “Throw Your Arms Around Me“.
I Midnight Oil sono sulla stessa lunghezza d’onda degli Hunters e arrivano al successo mondiale con le hit “Beds Are Burning”, “The Dead heart”, “Blue Sky Mine” e “Put Down That Weapon”.
Il punk irriverente dei Saints, invece, sembra provenire perfettamente dall’Inghilterra dei Magazine o dall’America esagitata dei Dictators. L’assalto di “Perfect Day” e il folk radiofonico di “Just Like Fire Would” sono i loro assi formidabili. Stesso discorso per “Radio Appears” dei Radio Birdman, gruppo riconducibile alle scosse elettriche di MC5 e Stooges, che ci regala i tornado sonici di “Descent Into The Maelstrom” e “Aloha Steve & Danno”.
I Triffids sono un nome di culto dotato di un frontman strepitoso, David McComb. “Born Sandy Devotional” è un album seminale carico di passione, arte, viaggi mentali, eccelse atmosfere. Le emozionanti “Wide Open Road” e “Stolen Property”, che da sole valgono cento brani di Springsteen, e le varie “The Seabirds”, “Estuary Bed”, “Life Of Crime” rappresentano il manifesto dei Triffids. Oltre questo disco miracoloso, McComb e soci ci hanno regalato altre perle come il folk intimista di “Bury Me Deep In Love”, l’appassionata “Jerdacuttup Man” e la jam psycho di “Fields Of Glass”.
I Cold Chisel sono un ottimo esempio di rock/folk grazie a brani invidiabili come le magistrali “Flame Trees” e “When The War Is Over” e le irresistibili “Forever Now” e “Cheap Wine”.
Dulcis in fundo una band che amo: i Church, uno dei tanti gruppi che avrebbe meritato la fama internazionale degli U2 (ehm, anche dalla loro voce il caro Bono ha preso più di qualche spunto…senza citare altre band derubate come gli Echo & The Bunnymen, i Sound, i Big Country, i Mission…). Labilità dei Church sta nel saper miscelare refrain accattivanti e una psichedelia delicatissima, fondata più sull’ipnosi dei suoni che sull’aggressività tipica del filone neoacido californiano di Dream Syndicate e Thin White Rope. Si formano a Sydney nel 1980 e già da subito dimostrano grande ispirazione e originalità. I primi cinque lavori contengono diamanti come “Myhrr”, “The Unguarded Moment”, “Tear It All Away”, “Almost With You”, “When You Were Mine”, “To Be In Your Eyes”,”Already Yesterday”, “Tristesse”, “Tantalized”, “Columbus”, “Destination”, “Under The Milky Way”, “Lost”, “North South East And West”, “Antenna”, “Reptile” e tante tante altre.
Questa è l’Australia…e scusate se è poco!