Tiziano Sclavi è uno di quegli autori che mi fanno tanta rabbia. In senso buono. Spiego subito il perché.
Sceneggiatore di fumetti fin dagli anni ’70 con al seguito lavori importanti quali “Roy Mann” e “Altai e Jonson”, romanziere tanto sconosciuto quanto geniale e originale e, ovviamente, creatore di quel grandissimo personaggio diventato icona pop di più generazioni quale Dylan Dog, egli ha spesso riversato nei suo lavori più celebri tutta la sua visione pessimista della vita a partire dalla paura della ripetitività e la noia e il rapporto tra umanità e mostruosità, il tutto in una chiave caratterizzata dal grottesco e dall’ironia. Ma Sclavi è anche un essere umano che non ha mai fatto mistero delle sue fobie e di quel senso d’inadeguatezza nei confronti della vita stessa che lo hanno portato a problemi di depressione e alcolismo, da cui è seguita una prima assenza dal mondo della scrittura e del fumetto all’inizio degli anni 2000 e infine, subito dopo la pubblicazione di tre albi di Dylan Dog e un ultimo romanzo nel 2006-2007, un nuovo ritiro durato quasi dieci anni.
Come già detto, Tiziano Sclavi è un autore che mi fa tanta rabbia. Non rivolta a lui stesso ovviamente, quanto a quel mal di vivere che ha accompagnato la sua esistenza. Perché quando nel 2016 tornò improvvisamente alla sceneggiatura con l’albo di Dylan Dog n°362 intitolato “Dopo un lungo silenzio”, colui il quale aveva detto più volte nel corso degli anni che non sarebbe mai tornato a scrivere perché non aveva più niente da dire riemerse con una storia straziante e forte da far venire le lacrime, cui pochi mesi dopo ne seguì un’altra, stavolta più ermetica e surreale.
Ed eccola qui allora la rabbia nel ripensare a tutti quegli anni spesi nel silenzio quando ancora la sua immensa vena creativa non solo non si era spenta ma nemmeno soltanto affievolita e a cosa avrebbe potuto dare se non si fosse messa in mezzo la vita con tutte le sue ansie e problemi.
Quindi potrete capire la gioia mia e di molti altri fan del lavoro di Sclavi nell’apprendere dell’uscita di un suo nuovo lavoro nei primi giorni di gennaio del 2019: una graphic novel edita da Feltrinelli Comics.
“Le voci dell’acqua” è un fumetto che vive di estremi: da una parte ci sono i disegni delicati, abbozzati ed eterei di Werther Dell’Edera, dall’altra parte c’è tutto il pensiero di Sclavi che scorre in una narrazione non lineare, fatta di poche parole ma fredde e dure come pietre e da cui è impossibile scappare. Stravos, il protagonista della storia, scopre di udire delle voci solo in presenza di acqua che scorre. La diagnosi del medico è veloce e sbrigativa: schizofrenia. Gli prescrive subito dei medicinali che in realtà Stravos non prenderà mai perché in fondo non vuole liberarsi di quelle voci che lo fanno sentire “meno solo” in mezzo ad una vita fatta di noia e piattume, di un lavoro uguale a se stesso, di un amore sterile e futile, di una città fatta di volti anonimi e sofferenti dove non smette di piovere nemmeno per un secondo e di una madre ora in stato confusionale per cui provare solo rancore e voglia d’uccidere, in quanto quest’ultima l’ha fatto soffrire e picchiato così tanto che i segni di quel passato si avvertono ancora nella sua paura e nel suo volto triste e sofferente.
Paura, follia, irrazionalità, monotonia, cattiveria, vuoto, indifferenza ed incertezza: tutti questi concetti si fondono nelle 79 pagine che compongono la graphic novel. 79 pagine che trasudano un dolore impossibile da nascondere in questo grande magma di cose da dire. Il contrasto tra la mole d’argomenti e il tratto semplice e abbozzato dei disegni è un sodalizio perfetto che risulta essere più efficace di quanto non appaia inizialmente, dove persino il bianco di alcuni sfondi fa male quanto i toni scuri di certe vignette.
Se e in quale misura Sclavi abbia attinto dal privato per il concepimento di questa storia non ci è dato saperlo e, onestamente, non rientra nemmeno nell’elenco delle cose più importanti. Ciò che conta è che il mondo ha avuto un’ennesima prova del suo genio, al suo straordinario dono di saper raccontare le sensazioni più dolorose e cupe dell’animo umano con poche parole giuste ed efficaci, il tutto con sempre in sottofondo, in un piccolo punto lontano talvolta, quel sottile senso dell’ironia atta a sdrammatizzare sul dolore della vita e che talvolta è la sola cosa che ci rimane per difenderci.
Grazie Tiziano, grazie dal profondo del cuore.
Feltrinelli Comics
Graphic novel
Feltrinelli
2019
96