Albert era un uomo di mezza età, un intellettuale caparbio che lavorava dal sorgere del sole fino al suo tramontare quando, stremato, si gettava sull’antica, polverosa poltrona e si addormentava.
Era abituato alla sola luce di quel cerchio dorato e, a furia di contemplarlo, aveva perso l’uso degli occhi.
Una notte, durante il sonno, la sua fervida immaginazione lo trascinò su un sentiero sterrato in mezzo ai boschi.
Egli si limitava a seguirne il percorso guardando fisso il sole. Questo fungeva da guida e Albert gli era devoto come un allievo nei confronti del proprio maestro.
Con gli occhi pieni di quella luce e il cuore colmo di un ingenuo entusiasmo urtò una pietra con il piede destro. La sua caduta era imminente…
Albert si svegliò, tutto d’un tratto.
Era sudato e tremava. Provò ad addormentarsi di nuovo, invano.
I suoi occhi furono attirati da un bagliore proveniente dalla finestra.
“Respirare dell’aria fresca mi aiuterà a stare meglio” – pensò.
Si alzò intorpidito e, lentamente, si diresse verso la finestra.
Nell’aprirla, questa emise un cigolio sordo che fece sobbalzare Albert. Tentò di richiamare alla memoria l’ultima volta che l’aveva aperta, ma i ricordi apparivano confusi e sfocati.
La luna, in tutta la sua maestosità, galleggiava sospesa al centro del nero, misterioso ed immenso cielo.
Albert spalancò la bocca, stupito.
Non riuscì a distogliere lo sguardo dallo spettacolo che aveva davanti e fu come se il suo cuore avesse ritrovato la via.
“Oh, mia amata luna, sono trascorsi anni dall’ultima volta che ti ho contemplata. Io ero ancora ragazzo e tu eri, sì maestosa, ma mai come questa notte. Il tuo candore, la tua splendente e unica grazia risalta e vibra in mezzo a tutte queste stelle che, confrontate a te, appaiono così grigie e anonime.
Questo eterno rito che accompagna secoli interi di storia e umanità, mi riporta agli anni in cui, giovane ed irrequieto, ti osservavo dal buio della mia stanza. Ricordo il battere frenetico del mio cuore, tanto simile a quello che sento adesso e, per la prima volta, capisco di essere nuovamente un uomo”.
Egli non sbatteva quasi più le palpebre, contemplava con gli occhi sbarrati la signora del cielo notturno, riacquistando la vista di cui il sole lo aveva privato.
Le ore trascorrevano avvolte dal silenzio che, di tanto in tanto, veniva spezzato dal canto di una civetta. Albert non sembrava accorgersene e più tempo trascorreva, più si innamorava della luna.
Pian piano questa si faceva più chiara e alla gioia si andava sostituendo il dolore per l’imminente separazione.
Albert chiuse gli occhi e pregò che il sole non sorgesse.
Grosse lacrime solcarono quel volto scavato dal tempo.
Sentì attraverso le palpebre chiuse che la luce era cambiata.
Aprì gli occhi e, seppur umidi, riconobbero la sagoma tremolante del sole nascente.
Albert si prese la testa tra le mani e le ginocchia cedettero al peso dell’intero corpo. Addolorato e incredulo inveì contro l’antico maestro che lo aveva privato di quel tempo che non sarebbe più tornato.
“Tu, tu hai ucciso quella figura tremolante e aggraziata! Ella ti ha ceduto il suo posto nel cielo, ma io non ti concederò più il mio tempo, antico, vile maestro”!
Delirante, Albert prese lo slancio e si gettò a braccia aperte nel vuoto.
Voleva ricongiungersi alla sua amata luna e affiancarla in mezzo agli astri che le roteavano intorno.
Così, con quel volo breve e altresì intenso, Albert abbracciò nuovamente la vita.
L’immagine di copertina, presa dal sito zazzle.fr è Reve fort di Paul Klee