Schultz, il poeta che dialoga con il dio della solitudine
Philip Schultz, scrittore e poeta americano, tra le voci più interessanti della letteratura contemporanea. Nel 2008 ha vinto il Pulitzer con la raccolta Faliure.
È il poeta stesso ad ammettere che le sue poesie saccheggiano quasi tutto. Timori, progetti, congetture e stupori. I suoi versi cercano prove di infedeltà, frammenti di ispirazione.
Finalmente possiamo leggere Schultz anche nella nostra lingua. Da Donzelli di recente è uscito Il dio della solitudine, un volume antologico della sua opera poetica curato da Paola Splendore.
«Poeta dell’io, – scrive Paola Splendore nella postfazione, del racconto familiare, del ritratto e dell’autoritratto, in cui tenta bilanci e autodefinizioni, Schultz usa sempre la forma del monologo, o quella del dialogo con un interlocutore assente, un amico morto, il padre, la madre, evocati da gesti in cui si fissano e si riflettono emozioni profonde».
La lingua della sua poesia è sempre in movimento. Quando scrive versi Schultz vive la sua immanenza e ogni poesia è il filtro essenziale di un ricordo, l’istantanea di un gesto che lo lega contemporaneamente alla sua memoria e al suo presente.
La sua poesia è carica di vissuto, densa di vivente. Suggerisce attraversamenti in un tempo tutto da leggere.
Sente di appartenere alla realtà, di essere un errante sempre in cammino. Si scopre poeta e scrive versi per trasformare la materia grezza del suo mondo in poesia.
L’identità ebraica, il rapporto con la madre, i piccoli eventi quotidiani, storie di amici, i bilanci della sua vita, il dialogo con il dolore e le considerazioni sul fallimento esistenziale e sulla morte.
Questa è la poesia di Philip Schultz. Un poeta che saccheggia tutto per raccontare il suo modo di stare al mondo.
«Preferisco / vedermi come un’anomalia / legata senza volerlo a / una coscienza ormai / obsoleta e provvisoria / che deve a ogni passo salvarsi / da se stessa / come una specie di istinto speciale / per la felicità che / mi ha sostenuto per un breve / ma promettente momento».
La poesia di Schultz fa i conti con lo stupore e con il tremore di essere qui . Allo stesso tempo è corpo e anima.
Nelle sue stanze si annida sempre la memoria che dà il nome al tempo, che ci legge la sua vita quotidiana dove in una fredda domenica mattina di febbraio è possibile trovare il dio della solitudine in carne e ossa che sente addosso il freddo e l’infelicità degli uomini.
Poesia
Donzelli
2018
222