Ricordando Sam Dunn
di Riccardo De Gennaro
“Viviamo sopra una polveriera di fantasia che non tarderà a scoppiare”. Potrebbe essere uno slogan del Maggio francese, ma è un pensiero di Bruno Corra, pseudonimo di Bruno Corradini Ginanni, contenuto nel suo romanzo più celebre, “Sam Dunn è morto”, scritto nel 1914. Vi si raccontano le gesta di Sam Dunn, un pazzo visionario, un “ragazzo di genio”, ricco ed elegantissimo, che – al contrario dei futuristi, la corrente alla quale Corra apparteneva – non ama la velocità, ma “lo stare immobile per quattro ore di seguito, silenzioso, imbambolato, estatico”, oppure “tentare ostinatamente di passare attraverso una porta senza aprirla”. Egli stesso, poi, confessa di essersi “molte volte alzato da tavola senza mangiare” perché non ricordava quale metodo seguire “per far passare le vivande dal piatto alla bocca”.
Il titolo, che ha qualcosa di glorioso, anticipa la fine del racconto: Sam Dunn viene ucciso dalla sua domestica, Rosa André, che gli si siede sopra e lo soffoca. Non senza che Dunn abbia prima dato prova dei suoi poteri occulti con un incantesimo che sconvolge l’intera Parigi, quando accade che la realtà si dibatta “col furore pauroso di un organismo” sul punto di morire, o di rinnovarsi “attraverso una crisi febbrile”. Grazie a questo scatenamento di energie occulte, Parigi conosce la rivoluzione. Succede di tutto: guardie che lanciano smodatamente in aria i loro berretti, operai che insultano anziani signori, vetturini che lanciano i cavalli alla corsa sfrenata, venditori che declamano brani di Hugo e Rimbaud, muli sui pattini, oggetti preziosi che escono in volo dalle gioiellerie e si tuffano nella grande vasca delle Tuileries. Nel frattempo, da tutte le case della Ville Lumière, come obbedendo a una parola d’ordine, fiumi di persone si riversano nelle strade diretti ai boulevard. In particolare, nel Quartiere latino, dove si era formata un corteo di 50mila persone, gli uomini portano tutti la giacca rovesciata.
“Sam Dunn è morto” è più vicino al surrealismo francese che al futurismo italiano, anche se la sua prima pubblicazione (1915) è merito di Marinetti.
La sesta fu pubblicata da Einaudi nella bella collana Einaudi letteratura, nel 1970. La medesima versione è integralmente contenuta in “Zig zag, il romanzo futurista” a cura di Alessandro Masi (Il Saggiatore, 1996), ma entrambe le edizioni sono difficilmente reperibili e Bruno Corra, che dopo Sam Dunn scrisse un po’ di romanzetti commerciali, è completamente dimenticato.
Nelle prime due edizioni il “Sam Dunn”, che consiste in non più di 60 pagine, viene definito dallo stesso Corra “romanzo sintetico”, vale a dire, spiega lo scrittore nella prefazione, “il primo romanzo senza capitoli di preparazione, senza squarci riempitivi, senza particolari oziosi, senza luoghi comuni diluiti e riposanti…” . Perché scrivere cento pagine se ne basta una soltanto?
Possiamo dire che si tratta di un romanzo comico, dove oltre a Dunn, gioca un ruolo decisivo anche il cavalier Angelo Santerni, un “genialoidaccio”, un giramondo, dilapidatore di patrimoni, che apre un hotel a Portorosa, una località immaginaria della Liguria. Anche Santerni è un convogliatore di energie e forze psichiche: Parigi e Portorosa diventano dunque “i due poli di irrealtà della nostra realtà”. Ora non diremo come, ma i due poli entrano quasi immediatamente in rotta di collisione e Dunn, grazie a “un’irresistibile ventata di umorismo”, intuisce la “barocca banalità” che sta “per strangolare la sua rivoluzione lirica”. Ciò che resta è la formazione, nei fiordi della Norvegia, di una colossale montagna d’acqua, che ricorda un cetaceo fosforescente ed è oggi conosciuta col nome di Monte Dunn.
A questo punto non resta che svelare un dettaglio, poco notato dai critici, che consente di parlare del “Sam Dunn” come di un romanzo di fantascienza. La rivoluzione di Parigi, deviata da Santerni “nella più idiota frenesia che si potesse immaginare”, avviene in un futuro piuttosto lontano rispetto al 1914 e collocato nel 1952, per l’esattezza il giorno 5 giugno. E’ la prova che quella previsione si autorealizza nel romanzo stesso: “Viviamo sopra una polveriera di fantasia che non tarderà a scoppiare”.