Il mondo nella città amara di Luigi Compagnone
Di Nicola Vacca
Luigi Compagnone, narratore, romanziere, poeta è nato a Napoli nel 1915. Uno scrittore errante tra romanzo e poesia, egli è stato definito l’intelligente, caustica e acuta voce partenopea.
Scanzonato e irriverente e soprattutto allergico alle convenzioni e al conformismo delle mode letterarie, Compagnone ha attraversato il Novecento da battitore libero diventando un irregolare scomodo.
Nei suoi libri il comico e il tragico si fondono, la farsa e il dramma diventano gli elementi della condizione umana, che lo scrittore passa in rassegna in tutte le sue miserie non tralasciando mai l’ironia che spesso nella sua scrittura scaturisce da un geniale e ecclettico punto di vista di scrivere e di descrivere le cose.
Napoletano verace, nei suoi libri parla con grande amore della sua città. Anche se la Napoli che viene fuori dalle sue pagine è sempre una città amara.
Compagnone apparteneva alla generazione dei «ragazzi di via Monte di Dio», come Raffaele La Capria, Patroni Griffi, Francesco Rosi, Renato Caccioppoli, Antonio Ghirelli.
Stiamo parlando di uno degli intellettuali più autorevoli della cultura napoletana del Novecento.
Interessante la definizione che di lui dà Nello Ajello su Repubblica all’indomani della sua morte, avvenuta il 31 gennaio 1998: «Luigi Compagnone aveva compiuto ottantadue anni nel settembre scorso. In quanto autore, aveva superato da tempo i trenta titoli. Era ilare e amaro, come accade a certi napoletani di talento. E di talento ne aveva dissipato tanto per una sorta di elegante puntiglio, fra racconti, poesie, elzeviri, epigrammi. Sentendolo parlare, la sua vena aforistica sembrava straripasse, e si vedeva esibire una sorta di storica inconsolabilità. Un napoletano antico, nel bene e nel male».
La sua vena irriverente non fa sconti a nessuno e soprattutto alla sua città di cui in ogni libro scrive con rancore e con gioia allo stesso tempo, percorrendo, come giustamente scriveva Geno Pampaloni, tutte le vie che conducono dal drammatico al patetico, dal realistico al surreale, dal razionale all’assurdo, dalla denuncia al gioco bizzarro, dal plebeo al letteratissimo, dal cronistico al fantastico, dal corrusco ideologico al lievitante pastiche, dal sociale al metafisico, dal gusto del rischio a una religiosità stravolta al negativo.
Il libro che più lo rappresenta e dove, a mio avviso, è possibile trovare tutte le qualità di scrittore inconfondibile è Città di mare con abitanti, uscito da Rusconi nel giugno 1973.
Un romanzo corale di personaggi. Sullo sfondo una Napoli (che non viene mai citata) raccontata con toni surrealistici e kafkiani in cui l’inverosimile è portato alle estreme conseguenze e l’insensato, il grottesco e il disgustoso esprimono un modus vivendi.
Con un sarcasmo amaro che sconfina in un paradosso geniale, Compagnone racconta volutamente una Napoli senza tempo portando la sua immaginazione al di là di ogni limite, riuscendo a creare una galleria corale di personaggi che sono vittime e artefici del loro stesso assurdo.
Personaggi bizzarri che vivono in una città di mare con abitanti, anime morte che deambulano per le vie e per le piazze in attesa che accada qualcosa che riscatti per sempre la loro condizione amara di esseri infelici.
L’umorismo di Compagnone è amaro. La città di cui racconta è sospesa tra surrealismo e realtà, ma l’inverosimile è la cifra geniale di questo romanzo dai toni fortemente kafkiani (ma anche pirandelliani).
Tutto quello che accade in questo libro (e soprattutto ai suoi personaggi numerosi) spiazza. Colpisce già dalle prime pagine l’intuizione geniale di Luigi Compagnone, che è capace di affascinare e turbare il lettore con una carica estrema e dinamitarda di inverosimile, che è il registro narrativo geniale con cui l’autore ci conquista.
“Non sono mai riuscito a sapere su quale parallelo e presso quale mare si trovi la ridente cittadina di cui si parla in queste pagine; io sospetto che non esista. Forse non esistono nemmeno i suoi abitanti che si muovono e parlano come non avviene nella vita reale, anche quando ridono, piangano, amano, odiano, portando tutto alla massima alterazione, al massimo grado».
Così lo stesso Luigi Compagnone parla ai lettori nella quarta di copertina del suo libro.
Citta di mare con abitanti nei suoi novanta schizzi narrativi racconta in maniera allegorica il rapporto di odio e amore con la sua Napoli ma è soprattutto un viaggio nella condizione umana sfregiata dall’egoismo e dall’individualismo.
Sono amare le riflessioni di Compagnone sul suo tempo, cresciuto troppo in fretta nelle sue contraddizioni.
Il suo pessimismo della ragione oggi, rileggendolo, potrebbe tornarci utile.