La sommatoria degli errori
Racconto da un minuto di Davide Morelli
C’era un uomo che amava fissare il cielo in tutte le stagioni, tutti i giorni, a tutte le ore. Non c’era un attimo che lo perdesse di vista. Dormiva poco la notte per non perdersi lo spettacolo delle stelle. Stava poco a contatto con gli altri perché era convinto che non lo capissero. Fissava la luna calante, crescente o piena, di notte. Osservava le costellazioni. Ammirava le nuvole e gli uccelli che correvano nell’aria. Guardava il firmamento da ogni possibile angolo del mondo. Scrutava ogni possibile gradazione di colore. In particolare gli piaceva sdraiarsi sotto un albero e osservarlo come era tra l’intreccio dei rami. In alcuni momenti per ammirarlo meglio si metteva gli occhiali da sole. Si perdeva nel cielo grigio o nero temporalesco quando la pioggia scendeva a catinelle. Si spaventava quando lo vedeva illuminato e squarciato da lampi. Si rallegrava quando si incendiava con dei colori lividi al tramonto. Si rasserenava quando si stemperava nell’azzurro usuale.
A volte era di panna. Altre volte era di cemento, di pece o di smeraldo. Certi giorni di estate le nuvole si assottigliavano talmente tanto che diventavano venature, che sporcavano appena l’azzurro. L’uomo amava così il firmamento che gli piaceva vederlo riflesso in una pozzanghera, in uno stagno, nel mare. Per lui rappresentava l’eterno e l’infinito. Era la speranza che oltre ci fossero dei mondi lontani anni luce e in questi mondi degli esseri migliori di noi umani. Era convinto che gli uomini commettessero degli orrori perché non alzavano abbastanza la testa verso la volta celeste e non si lasciavano ispirare a sufficienza da essa. Così si recò nelle più grandi città del mondo a convincere gli altri a guardarla più spesso, dicendo loro che non era mai vuota e che poteva assumere i più svariati significati. Andò da ricchi e poveri, colti e ignoranti, cittadini e contadini ma nessuno lo ascoltò. Concluse così, dopo anni in cui aveva girovagato tra paesi e città, che gli umani non potevano neanche dannarsi l’anima perché l’avevano persa da tempo. Restava da stabilire in quale circostanza. Per lui la situazione era davvero ingarbugliata. Capì allora che il cielo era l’inventario degli sbagli degli uomini, la splendida sommatoria dei loro errori. La volta celeste ricordava la storia universale dell’umanità: splendori e miserie. Non capiva altro perché nella sua globalità era indecifrabile e incomprensibile.
L’immagine di copertina è di Notte stellata di Vincent Van Gogh