Nuova avventura: Racconti d’inverno. Il giovanotto col garofano.
Di Rossella Pretto
Si era in tempo di guerra.
Dopo essere stata in Germania, come inviata danese ospite del Terzo Reich, Karen Blixen pensava di proseguire per Londra; ma il 9 aprile 1940 la Danimarca fu invasa e lei dovette rinunciarvi. Nell’inverno di quell’anno lo Stretto gelò, costringendola a rinchiudersi nell’ala occidentale della casa a stipare di legna le stufe in ceramica e ferro battuto con gli occhi fissi alla finestrella della sua camera-soffitta, da cui poteva ammirare lo spettacolo della Strandvej che, nelle giornate limpide, le guidava lo sguardo fino alle coste della Svezia. Gli anni successivi la videro in gravi ristrettezze, impossibilitata a ricevere i diritti d’autore dall’estero, bloccata nei dintorni di Rungstedlund, sola e tormentata dagli assalti del suo male.
Si dedicò allora alla stesura dei Racconti d’inverno, suo terzo libro che uscì nel 1942, omaggio a quella pièce in cui l’ultimo Shakespeare faceva ricorso alle risorse fantastiche e all’invenzione scenica capaci di ricreare e illuminare la vita. Il successo dei primi due libri (Sette storie gotiche e La mia Africa) le aveva dato la notorietà, a partire dall’America che aveva riconosciuto il talento del narratore che si nascondeva sotto lo pseudonimo di Isak Dinesen.
Ogni successo e ogni avventura letteraria portano però con sé un periodo di crisi e di ripiegamento. “Era stato preso in trappola e se n’era accorto troppo tardi”, dice la Blixen del non ancora trentenne Charlie Despard che, non a caso, apre la raccolta con Il giovanotto col garofano: una meditazione sulla fatica dello scrivere, il costo che richiede. “Perché sentiva in cuor suo che non avrebbe mai più scritto un grande libro. […] Il pensiero di essere celebre accresceva e intensificava la sua disperazione”. Con questi affanni Charlie Despard si avvia all’albergo Regina di Anversa, dove la moglie lo aspetta per intraprendere un viaggio alla volta dell’Italia e ispirarlo a porre mano al manoscritto che gli pesa in valigia e sul cuore come un macigno. Anche Dio, che gli aveva posato la mano sulla testa, sembra averlo abbandonato: “E se non era più un grande artista, per quale ragione Dio avrebbe dovuto amarlo? Senza le sue facoltà visionarie, senza il suo corteo di fantasie, di farse e di tragedie, come avrebbe potuto anche soltanto avvicinarsi al Signore e supplicarlo di guarire le sue piaghe? In quel momento lui non valeva più degli altri, ecco la verità”. Eppure è proprio quel Signore di cui si credeva uno dei prediletti, alla fine del racconto, a rassicurarlo sulla sua vocazione e sul debito contratto.
Tra questi due dialoghi – o monologhi interiori, se vogliamo – si svolge la vicenda di Despard, che si perde e si ritrova, pensa di andarsene e abbandonare tutto e tutti e poi ritorna; stavolta nella camera giusta. Perché è di questo che si tratta: Charlie sbaglia camera e, grazie a questo errore, si salva. C’è sempre, al fondo dei racconti della Blixen, un’ironia che mira a stemperare i contrasti inconciliabili e marcare il margine di intervento cui l’uomo ha diritto, pur nella tragedia dell’esistenza. Una superiore accettazione del destino che si coagula in scrittura, dono e fardello: solo raccontando e raccontandosi delle storie i personaggi blixeniani possono trascendere i limiti bui della propria condizione.
Charlie Despard, durante la terribile nottata in cui pensa di gettare tutto al vento e imbarcarsi, muto e in ascolto delle stelle e delle esperienze dei marinai – soli amanti del mare perché ne hanno subito il fascino e la furia -, non resiste al proposito del silenzio e narra loro la storia di Lady Helena, si riconcilia con la propria vita e vi ritorna. Ecco il racconto: la giovane Lady Helena, salvata dall’incendio della nave su cui viaggiava in compagnia del padre, collezionista di porcellane blu, da un marinaio che la depone su una scialuppa e con cui passa nove giorni in balia delle onde, sconvolta dall’iniziativa del padre, che scopre aver pagato il marinaio perché, al ritorno, se ne vada a navigare dall’altra parte del globo, decide di continuare a girovagare per mare alla ricerca incessante di porcellane di un particolare tipo di blu che mai riesce a trovare. “Sono tutte sciocchezze quelle che vi dicono i grandi scienziati, quando sostengono che gli oceani hanno un fondo. È vero il contrario: l’acqua, che è il più nobile degli elementi, attraversa tutta la terra, e il nostro pianeta in realtà galleggia nell’etere come una bolla di sapone. E in quell’altra, nell’altro emisfero, fa rotta una nave con la quale io devo procedere di pari passo. Noi due, nel mare profondo, siamo come il riflesso l’una dell’altra, e la nave di cui parlo sta sempre esattamente sotto la mia nave, dalla parte opposta del globo. […] Alla fine la mia nave andrà giù sino al centro della terra, e nello stesso preciso istante anche l’altra nave affonderà – perché questa è la parola che la gente usa, affondare, anche se posso garantirvi che nel mare non esiste né un sopra né un sotto – e là, nel cuore della terra, noi due ci incontreremo”. In punto di morte Lady Helena trova finalmente quel vaso blu di cui andava in cerca e chiede che vi si metta dentro il suo cuore: “Intorno a me tutto sarà blu, e al centro del mondo blu il mio cuore sarà innocente e libero, e batterà sommesso, come una scia che canta piano, come le gocce che cadono dal remo”.
Dopodiché Charlie torna dalla moglie a cui, nella notte, aveva lasciato un biglietto d’addio, ma accortosi solo ora di aver sbagliato stanza e di essere stato in quella di una donna che attendeva l’arrivo di un giovanotto col garofano rosa, di averlo scacciato pensando di essere nel giusto, e crucciatosi, al contempo, di aver perso quella felicità, irrefrenabile e ridente, scorta nei suoi occhi, inzia un nuovo dialogo con Dio, che gli propone di stipulare un patto – il tema del patto è un fil rouge del pensiero e della produzione letteraria della Blixen: “Per parte mia, ti darò soltanto quei dispiaceri di cui hai bisogno per scrivere i tuoi libri”, gli dice il Signore.
Grandezza e inutilità sono i due opposti su cui la Blixen polarizzò la vita, trovando scampo nella scrittura e nell’allegria che le sue “fiabe” potevano estrarre. “La cosa più saggia, ciò che le fiabe hanno insegnato al genere umano in passato, e insegnano oggi ai bambini, è accogliere le forze del mondo mitico con astuzia ed allegria”, diceva Walter Benjamin. Un paradigma accolto in pieno da Karen Blixen.
Biblioteca Adelphi
Letteratura
Adelphi
1980
319 p.