PRIMA DELL’ALBA
Di Paolo Massimo Rossi
Vecchio paese nella Frentania abruzzese, le strette vie sono deserte. Torno nella casa ormai cadente che appartenne a miei lontani parenti. Per aprire il portone, utilizzo la vecchia chiave di ferro fattura di fabbro, devo fare in fretta, non c’è corrente elettrica e ormai resta un’ora di luce. Conosco gli ambienti solo per qualche ricordo d’infanzia.
Ambito del non luogo, dove tutti i luoghi potrebbero somigliarsi se la ragione la vincesse sull’immaginazione. Pietre di scala ripida sino alla fuga di stanze spoglie al primo piano. Sul muro lesionato seguo una striscia di affreschi: una greca geometrica che perde, nelle fratture dell’intonaco, la sua continuità. Una decorazione tipica delle antiche case abruzzesi.
Curiosità mi spinge: senza uno scopo preciso cerco un cassettone, un armadio; trovo solo legni ammuffiti e tarlati.
Sarei quasi tentato di ignorare l’esistenza di quelle vecchie stanze. Potrei collocarle nella fantasia, così sarei libero di inventarmi una loro autenticità. Come quella dei racconti delle donne che lì sedevano in circolo a spannocchiare il granturco per farne mangime. Raccontavano storie di fantasmi, di San Gabriele che era apparso a una loro antenata per rassicurarla sui futuri raccolti.
In un cassetto trovo una foto che vira al giallognolo: una giovane donna, magra e longilinea, vestita anni Quaranta. Capelli legati dietro la nuca, orecchini forse di giada. A penna, in basso: Elisabetta. Sul retro poche parole, scrittura obliqua, tremolante: “Tu mi hai ubriacato senza vino!”
È poco, ma nella mia immaginazione rappresenta un tesoro.
Esco nel paese silenzioso che vive ancora di quiete atmosfere, mentre le immagini dell’oggi favoriscono la riviviscenza ricordi passati.
Come la vigna di Petrinillo di notte, un buio percorso dove camminare a piccoli passi per non cadere: i ricordi tornano al nido intrecciato della memoria. Altri e io, pedoni in fila nel sentiero sino all’uva, in un gioco delle parti e parte del gioco: andare, mangiare, ruttare e raggiungere infine un letto d’estate nell’attesa dell’alba.
Segni di un’altra vita: la vecchia casa abbandonata e la vigna, legate da un unico destino, quello di poter essere ricordate.
Giro intorno all’edificio dai muri sbrecciati mentre la notte lentamente svanisce e la vigna con essa, vinte dalla banalità del giorno.
Facciamo che io ero felice. Oh, perfezione del ludico imperfetto. Ludico, come unica via d’uscita per non smarrire l’armonia dei ricordi.
L’immagine di copertina è una foto dei Monti Frentani in Abruzzo