Scoperte d’Inchiostro
Di Sara Bassani
Non sono una lettrice modello. Sono incostante, vado a periodi. Umorale. Ma se c’è un evento che riguarda la cultura e in particolare i libri, ci vado. Sempre. Grazie alla passione di Lorenzo Sartori da due anni si tiene InChiostro, a Crema, la mia cittadina. La prima edizione fu carina; la seconda, nubifragio del sabato a parte, notevole. Insieme ad amiche ho seguito alcuni incontri. Solo quello sull’editoria ci è parso superficiale, pura poesia invece l’intervento di Lorenzo Della Fonte. L’Italia è ancora un luogo per artisti. Prendo il suo libro e poi, con calma, passo ai banchetti. Gli editori sorridono, qualcuno legge o sbadiglia, tutti sono cortesi. Una decina li ricordo dall’anno scorso, gli altri sono novità. Ne salto solo un paio: uno stand coperto da un panno blu e un altro con dei libri colorati, forse dei saggi. Mi segno tre titoli, tornerò a prenderli più tardi con Luca, il mio compagno.
Un’amica riempie mezza borsa di libri per bambini: la frugoletta sarà felice e lei avrà cura di educarla al piacere della lettura. Un’altra giura di voler resistere alla tentazione di comprare, invece esce con il romanzo di un autore Gems che presentava l’opera da solo e quando andiamo a sederci al bar ha già il naso nelle pagine. A metà aperitivo è a pagina trentasei. Le piace, ha il volto radioso. Quando arriva Luca ne ha letto un quarto e, rapita dalla storia, mangiato anche i nostri aperitivi. Luca va a fare un giro, dice che così possiamo continuare a spettegolare in pace. Non ho visto tanti libri sul calcio, dovrebbe tornare presto. Ci mette più del previsto e quando appoggia quattro libri sul tavolino capisco perché: gli avevo mandato un messaggio coi titoli che avevo in mente ed è andato a cercarli. “Non si è drogato, vero?” ironizzano le altre. In effetti mi ha offerto di tutto, ma libri mai. Evviva la prima volta. Sono addirittura cinque “però” aggiunge, “questo è mio”. Allibita. “Ma avrà trecento pagine”, gli dico. Lui, la cosa più lunga che legge, è l’editoriale su «La gazzetta dello sport».
Tranne Silvia, ormai precipitata nel romanzo (e in attesa dei nuovi aperitivi), tutte ridiamo. “Pagine?” ribatte. “Quasi quattrocento”. L’avrà sedotto una standista avvenente? “Posso vedere?” domando, indicando il tomo. “Okay ragazze,” dico, dopo avere letto la sinossi, “tutto a posto”. Non è calcio ma, leggo, «la farsa dei grandi e piccoli burocrati, il museo delle truppe arruolate nei primi, corrosivi episodi di Fantozzi» e Luca ha una venerazione per Paolo Villaggio. Capace di arrivare davvero in fondo, al librazzo. Oltre a quelli che avevo scelto ne ha preso un quarto, per me, che ha lo stesso logo in copertina, ma è rosso. So che ama quel colore. Lo scoprirò presto: ho lunedì e martedì di ferie e sono in un periodo buono. Tengo l’opera di Della Fonte per ultima, i bei pasti devono finire col dolce. Ma il primo dei romanzi mi delude. La sinossi era un tranello, come quando i grandi marchi scrivono capolavoro. O forse avevo troppe aspettative. Il secondo è un racconto breve, 96 pagine… due ore le ho ancora. Due ore stavolta spese bene. Non è Bulgakov o Melville, ma è gradevole. Dato che sul comodino accumulo più che nei glutei, la mattina dopo prendo subito il regalo di Luca. Lo annuso, ha un profumo buonissimo. La carta è spessa, molto elegante. Leggo la sinossi, la bio dell’autrice, apro il volume. Prefazione. Mamma mia! Chi è ‘sta Solerio che scrive? Mostro. Romanzo. A pagina dieci sono già un bagno di lacrime. Parla di Resistenza. Ci ho fatto la tesi, sulla Resistenza. Ne parla come nessuno ha mai fatto: due anni prima che cominciasse. Devastante. Ironico, anche. E alla fine glossario, postfazione, appendici, ricerche, spunti critici. Curatore: Marco Vagnozzi. Chi è costui? Mi informo. Filosofo. Altro mostro, di quelli che non vengono a fare paura. Chiamo Luca. “Dove hai preso quel libro?”. Una bancarella vicina all’ingresso, dice. Eppure non l’ho vista. “Com’è?” mi domanda. Non ho aggettivi. Da farne un film. Anzi no, coi registi di oggi è meglio di no, forse lo rovinerebbero. “Trent’anni che leggo,” gli dico, “e questo ha pochi rivali. Anche tra i classici”. La cosa curiosa è che lui pure ha aperto il suo e dice di essere capottato dal ridere. Un riso amaro. Si ride di noi. La satira quello fa. “Grazie, amore” gli sussurro. Appena chiudo vado sul sito della casa editrice, guardo le copertine e capisco che il banchetto l’avevo visto eccome, solo che l’avevo saltato! Sembravano dei saggi e io, umorale, non avevo voglia di saggi. Si può fare un libro senza copertina? Questi sono matti. Siamo nell’era delle immagini e loro vanno alle fiere senza disegni, fotografie, grafiche accattivanti. Se tutti fanno come me, non se li fila nessuno. Ma non è una critica. Può darsi che sia una loro scelta. Il logo è efficace. Sulle copertine c’è solo quello, cambiano i colori. Se tutti i loro prodotti sono come La rivoluzione, forse domani di Rosa Mangini (il titolo del libro rosso), ringrazio costoro di metterli su carta, Lorenzo Sartori e tutti gli organizzatori di InChiostro per averli invitati, insieme a tanti autori e iniziative interessanti. In nome della cultura che dà il pane più buono per lo spirito.