Di Anita Mancia
Il testo tradotto da Carlo Salzani, Scritti autobiografici di Walter Benjamin corrisponde al sesto volume in tedesco delle Gesammelte Schriften edito da Suhrkamp e pubblicato nel 1985, pp. 213-542 e citato nella Nota del Traduttore a pagina 7 del testo italiano. Possiamo quindi osservare, solo come dato di fatto, che questa è una edizione tardiva dell’originale.
L’opera contiene molto opportunamente la prefazione dei curatori dell’edizione tedesca (pp. 9-14) dove sono illustrati i criteri di revisione, pochi, del testo di Benjamin verso cui i curatori sono stati molto rispettosi. L’opera si compone di sei curricula vitae (pp. 17-33), che sono molto interessanti per ricostruire la vita e le opere di Walter Benjamin, ma sono anche significativi per l’applicazione di un certo criterio riguardo al suo uso del tedesco di cui lo scrittore affermava la correttezza risiedente, a suo parere nell’assenza del pronome personale “io” dai suoi scritti.
Nel caso dei curricula questo pronome compare e rende i testi diversi dagli altri proprio per la presenza di questo uso. Seguono “Note e diari” (pp.39-287) che sono prevalentemente diari di viaggi in Svizzera con i suoi familiari (pp. 39-41) nel 1906, e che è un diario di Pentecoste, cui segue un altro diario di viaggio di Pentecoste in Germania nel 1911 (pp.43-48), il diario di Wengen dedicato soprattutto all’escursione sulla Jungfrau (pp.49-57).
Ma per il lettore italiano il più significativo dei viaggi è quello in Italia nella Pentecoste del 1912. Benjamin chiarisce che si tratta di un viaggio di formazione: “E’ soltanto il viaggio che dovrà emergere dal diario che voglio scrivere. Vorrei che in esso si sviluppasse l’essenza totale, la sintesi calma ed evidente di cui ha bisogno un viaggio di formazione e che ne costituisce l’essenza” (p. 69). Osserviamo una maturità di intenti significativa, forse sorprendente, tenendo conto che Benjamin aveva allora 22 anni.
Concentrando la sua riflessione sull’arte Benjamin scrive: “Natura e arte toccarono ovunque l’apice allo stesso grado, in ciò che Goethe chiama “solidità“. (p. 69). Il viaggio di formazione in Italia tocca e sviluppa ancora una volta la Svizzera, entra in Italia dal lato del lago Maggiore, dei cui lati italiano e svizzero offre una acuta descrizione che ne mette in evidenza le differenze (pp. 76-77), il lago di Como, la città di Como, Milano dove Benjamin e i suoi compagni visitano il cimitero di Musocco e vedono la tomba del Manzoni, mentre non apprezzano le altre che Benjamin critica particolareggiatamente e duramente (pp. 83-85).
Singolare e molto interessante è la riflessione di Benjamin sulla cosiddetta sacralità del luogo:”Ma ben presto siamo stati costretti a notare che il segno di questo luogo non è affatto la sacralità. I milanesi, istruiti o non istruiti fanno la loro passeggiata qui nell’atrio o nel giardino di pietra” (p. 84). Davvero singolare la visita di Milano perché tocca prima di tutto il cimitero, poi il Duomo, di cui viene lasciata una bella e suggestiva descrizione (p. 85), il tetto del Duomo, Brera e l’Ultima Cena. Difficoltà logistiche (la mancata comprensione delle indicazioni per arrivare a Santa Maria delle Grazie) rendono questa visita molto breve. Ma Benjamin è affascinato dal nudo stato di decadimento dell’affresco (p. 89).
La visita purtroppo dura poco tempo, mezzo minuto scrive l’autore, che deve subito uscire per ritrovare il pince-nez, gli amici ed andare alla stazione per prendere il treno per Verona. In questa città oltre che dedicarsi alle visite d’arte, Benjamin sperimenta una piccola truffa all’italiana sul prezzo dell’hotel di cui sono testimoni altri tedeschi che però non aiutano (p. 93). Il viaggio prosegue a Vicenza e a Venezia. La ricchezza e la quantità delle impressioni che la città suscita fa scrivere a Benjamin “Le lacune saranno maggiori che altrove nei miei ricordi di Venezia, per la gran quantità e l’analogia delle impressioni, che non rendevano , ogni giornata completamente diversa dalla precedente” (p. 96).
La visita di Chioggia mette finalmente Benjamin in contatto con una persona del luogo che parla un po’di tedesco. Questo gli permette di informarsi sulle condizioni di vita e di lavoro degli operai in Italia (p. 101). Ancora una osservazione acuta dello scrittore può essere registrata qui: “Mi ha colpito la velocità con cui Venezia mi ha circondato come un’entità molto reale e del tutto naturale e il fatto che anche un soggiorno di due o tre giorni renda gradevole o sgradevole, pratico o sfavorevole, anche ciò che c’è di più estraneo e di più bello.È possibile che vi abbia contribuito il carattere pur sempre metropolitano della vita veneziana, che risulta familiare all’abitante della grande città.” (p. 104).
L’ultima città che Benjamin visita in Italia è Padova con gli affreschi di Giotto nella cappella degli Scrovegni, ma la descrizione delle opere d’arte non è particolarmente interessante. Il viaggio in Italia del 1912 forse non mostra un Benjamin maturo come nelle opere successive, tuttavia sulla strada verso lo sviluppo di un pensiero autonomo ed originale. Diversamente il Diario moscovita del 1926-1927 (pp. 113-240) rivela un Benjamin profondo e maturo, capace di introspezione psicologica e di analisi raffinata tanto dei moti dell’anima quanto delle situazioni storiche e politiche di cui è spettatore. Benchè non parli russo, è in grado di comprendere il mondo che lo circonda e soprattutto la sua amica Asja Lacis che per ragioni nervose è ricoverata in una clinica psichiatrica.
Benjamin simpatizza con il comunismo della società russo-sovietica al tempo della Nep, tuttavia la capacità di cogliere limiti e difetti del mondo comunista non gli fa davvero difetto. Per queste ragioni non pensa di iscriversi al partito comunista almeno per il momento, pur frequentando intellettuali che sono di sinistra. Direi che lo sguardo sulla società moscovita è di simpatia partecipe rispetto alla vita di Mosca colta nell’inverno russo, alle persone che incontra, verso cui dimostra capacità di ascolto, alle strutture architettoniche, alle chiese, ai musei, ai teatri e in genere alla vita culturale della città.
È in grado di cogliere fenomeni come l’accattonaggio e di vederlo rappresentato nei luoghi più vari di Mosca, le strade e i mezzi di comunicazione come i tram. Sono anche molto illuminanti le pagine sulla relazione amorosa con Asja Lacis, nonostante egli fosse già sposato e padre affettuoso di un bambino, Stephan, al quale pensava sempre e si preoccupava di regalare giocattoli moscoviti in legno. Dunque raccomanderei la lettura attenta del Diario Moscovita perché rivelatore della personalità di Benjamin nella seconda metà degli anni venti del ventesimo secolo.
Di notevole valore anche le note e gli appunti relativi agli incontri con il drammaturgo tedesco comunista Bertolt Brecht e soprattutto il testo in cui i due si confrontano con l’opera di Kafka (pp. 268-270). La passione di Benjamin per i viaggi è una costante di questo libro di scritti autobiografici. Lo porterà fino a Nord in Norvegia (appunti di viaggio 1930 pp. 253-255). Direi che la seconda parte del libro, se la si vuole definire così, è quella incentrata su Berlino, sua città natale (si vedano Cronaca Berlinese pp. 307-363 e infanzia berlinese intorno al 1900, pp. 403-453). La ragione che lo porta a scrivere di una Berlino nostalgicamente rivissuta nella sua infanzia è la previsione dell’esilio e forse della sua morte. È necessario il confronto tra la cronaca e il testo dell’infanzia per cogliere le differenze fra il primo approccio al tema e il testo definitivo.
Si direbbe che questo volume è diviso fra i viaggi, i diari di viaggio in senso ampio e una visione nostalgica e decadente dell’infanzia. Il terzo elemento che lo caratterizza sono i curricula, gli ultimi dei quali presentano una situazione ben strana dato che la tesi dottorale sul dramma barocco tedesco non è nè capita nè accettata dal relatore ed è quindi respinta. Anche la domanda per la naturalizzazione in Francia non va a buon fine. Di qui nel 1940 la decisione di uccidersi con una fialetta di veleno che portava sempre con sè, a Port Bou per non cadere nelle mani dei nazisti.
L’edizione italiana di questi testi è corredata da note filologiche, storiche e di archivio che permettono al lettore una migliore comprensione del testo. Talora queste note presentano piccoli errori come la nota su Anatolij Vasil’ević Lunačarskij che secondo il testo morirebbe nel 1922 mentre sarebbe Commissario del popolo all’istruzione dal 1917 al 1929. Ciò non toglie l’importanza per il lettore italiano di queste notazioni storiche e di archivio.
Diari
Neri Pozza
2019
543 p., brossura