Di Lea Barletti
Erano sei, come gli anni. Le mutande di lui giacevano nere giù in strada, sparse come tanti uccelli abbattuti in volo: sull’asfalto, sulle macchine parcheggiate, sui rami dei cespugli.
Lei le aveva lanciate dall’alto della terrazza condominiale al sesto piano: con metodo, senza rabbia, una per una.
Una per ogni anno. E una per ogni ora di quella lunghissima notte. Le aveva viste volare scure contro il cielo, insieme ai pipistrelli, e abbattersi al suolo con piccoli tonfi sordi. Erano brandelli di sé, quelli che gettava via, inutili e vuoti come quelle mutande, morti pezzi di passato. All’alba, dopo aver lanciato l’ultimo, il più ostinato, quello in cui si agitava ancora una stupida speranza, così come nel cuore di uno di quegli uccelli feriti che capita di raccogliere, che lo senti battere rapido, fragile e impazzito, tra le mani, lei se ne andò.
L’alba sul lago era bella da togliere il fiato, ma lei di fiato non ne aveva più. L’ultima mutanda giaceva su di una macchina, nera speranza spiaccicata sul parabrezza.
L’immagine di copertina è L’abbraccio di Egon Schiele