Aperto e chiuso il punk coi Sex Pistols di Never mind the bullocks: here the sex Pistols , John Lydon stravolge i dettami di qualsiasi tipo di musica (sperimentalismo? I Can ?, elettronica malata?, il dub? ) con un dischetto contenuto in un involucro tondo di metallo, come i contenitori, in piccolo delle “pizze” cinematografiche, da cui il titolo di ” Metal Box”, che poi uscirà come doppio 33 giri col titolo di Second Edition. Con lui, l’ex Clash Keith Levene alla chitarra ed il bassista Jah Wobble al basso e non c’è un batterista fisso nel disco perché allo strumento si sono alternati pure Levene e Wobble. La chitarra metallicissima di Levene, detta “Veleno” che non si ascoltò più su disco e costruita esclusivamente in alluminio, dà al disco quel suono metallico ed aspro, una sorta di stiletto maligno che perfora in continuazione le orecchie dell’ascoltatore.
Il basso, straordinario, di Wobble ha già cadenze dub nel 1979 ( il solito straordinario anno, eh!) , con larghissimo anticipo sulle sonorità future. Ma questo è considerato unanimemente, pur nelle difficoltà di assorbimento e metabolizzazione, un capolavoro da chiunque si occupi di musica. Lo spirito malvagio di Lydon ha creato un elaborato che non ha eguali da allora, quanto ad originalità della proposta. E’ nichilismo puro. L’apatia è glaciale, la Londra che fuoriesce da questi solchi è eviscerata da un Jack The Ripper senza pietà alcuna, come quello reale che operò a White Chappel a fine diciannovesimo secolo . Albatros, aperta da un basso pulsante e quasi macabro, con la chitarra-stiletto di Levene che impazza, rimbalzando e conferendo forza e varianti come un ammasso di lava che cambia forma in continuazione, è capolavoro che lascia ancora oggi senza fiato. Pulsa pure la batteria, con questo basso che non si dimentica più!. E’ una slow motion che mi fa venire in mente proprio gli albatros con le piume inzuppate, inzaccherate di petrolio, ogni volta che le petroliere facevano disastri, animali destinati, coi loro tristi occhi a morta certa.
Dieci minuti e 34 secondi che potrebbero durare all’infinito, cantati da Lydon in un modo esasperante quanto a paranoica interpretazione, lenta, ipnotica, senza speranze. Strepitosa. Subito, da questo primo brano si intuisce e comprende che l’ottica dei PIL distacca la loro sensibilità musicale da tutto il resto, come si distacca la retina dall’occhio. Memories si srotola su basso e chitarra arpeggiata, con una drammaticità che fa sudare, con tonalità quasi mediorientali, con Lydon che da arruffapopolo (coi Pistols) si è trasformato in un muezzin aguzzino implacabile. La musica ipnotizza, poi Wobble aumenta il suono del basso, veramente dub in grande anticipo. Melodia disperata che strappa i capelli dalla testa con estrema naturalezza. Mai si era ascoltato niente di simile prima. E resterà così fino alla fine dei giorni di tutti. Altro capolavoro. Swan Lake fa digrignare i denti, basso e batteria sono implacabili e la voce di Lydon mostruosa. E’ una rincorsa etnica che si sposta come un pendolo impazzito dall’Oriente all’Occidente e poi di nuovo in Oriente. Gabbia mentale del Califfato! Loro provocano alla grande e ci riescono perfettamente a disorientare pure l’ascoltatore più smaliziato. Bella ed originalissima. Poptones, con la sua caracollante andatura zoppa sulle partiture del basso, mentre lavora di fino Levene alla solista, espressiva all’inverosimile e lui che entra alla voce come se stesse sbadigliando la mattina all’alba! Ma quanto è bella questa melodia sghemba? Tantissimo, la risposta. Wobble costruisce una sorta di gabbia ritmica che lui stesso, in modo circolare col basso, provvede a chiudere. Mente in fumo.
Certo non è un disco da ascoltare quando siete seduti sul water. Alla larga mogli, fidanzate, bambini, parenti, cani, vicini, telefonini, ipad. Tutto e tutti. Formidabile capolavoro. Careering, con la sua danzabilità apparente da “delitto atroce in laboratorio”, parte con il grido agghiacciante del vocalista e questa cadenza che va avanti a frustate elettroniche, immodificabile e penetrante. Il synth qui gioca, con le sue sciabolate, un ruolo fondamentale nel rappresentare un’umanità ripugnante e da fogna autentica. L’occhio che guarda questo scenario infelice rappresentato è attonito. Il suono spesso crea delle apnee incredibili, nelle quali vanno ad inserirsi i sibili del sintetizzatore, suonato benissimo, in modo davvero futurista. Pazzesca. No birds è la più vicina alle vecchie sonorità new wave, ma a modo suo. Distonica, anoressica, dispari, rabberciata e sinistra. Graveyard è una selezione solo strumentale di poco più di tre minuti raggelante. Si sente un rumorino strano in apertura e poi parte il basso più originale di sempre (Wobble), mentre la chitarra di Levene suona melodie e disegna scorci slabbrati, metallici , da cimitero alle due di notte. UNICA!. Bellissima. Ma come suona Wobble? Non ci sono parole.
The suit col basso che lancia un tempo funky delinquenziale su cui la voce di Lydon è quella di una strega minacciosa. Dura 3′ e 29″ e sono minuti spesi a rifinire i concetti di umanità distorta già espressi precedentemente. Ossessiva in modo intelligente. A suo modo questo è pure un disco snob, ma gli scenari che dipinge sono lividi e beffardi. Bad baby ha un tempo sconnesso, ma affascinante, basso e batteria disegnano linee assolutamente inconsuete, la voce è un sibilo quasi orientale, il synth si fa sentire, ma è la scansione l’arma vincente di questo brano vibrante e trascinante. Socialist è percussiva ed attraversata da carezze elettroniche, con una grande batteria, E’ solo strumentale e completa un panorama rabbrividente. Chant è fastidiosa, ossessiva nel suono e nel ripetere “chant” da parte di Lydon, mentre la chitarra imperversa, metallicissima. Radio 4, ancora solo strumentale, va a chiudere in modo splendido un disco inavvicinabile per quasi tutti i colleghi di questa band irripetibile. Il synth qui è solenne ed aulico e viaggia “ad ondate “, sorretto dal basso di Wobble, vero solista. La melodia è tristissima. Poco più di quattro minuti che non si scordano.
E pure la squallida realtà da loro narrata acquista luce, perché il brano è un raggio di sole in una Londra di piombo, grigia, pericolosa, E, come disse un critico musicale a proposito di questo CAPOLAVORO, vale la pena di cavalcare una banalità linguistica e dire “un momento di arte insuperabile”, messo in scena da un grande genio del Novecento. E così sia. PIL = IL FUTURO NEL PASSATO.
Post punk
1979