Papini e i Ritratti italiani
Di Nicola Vacca
Giovanni Papini, scrittore e raffinato umanista, animò con le sue eresie la scena del primo Novecento letterario italiano.
Da quel grande irregolare che è stato, lo scrittore fiorentino non rinunciò mai nei suoi libri e nei suoi interventi al ruolo di acceso polemista.
Dopo la sua scomparsa, su Papini cadde l’oblio. Borges lo definì un autore “ingiustamente dimenticato”.
Con Giuseppe Prezzolini fondò Leonardo e La Voce, due riviste culturali importanti del Novecento.
Lo spirito inquieto e combattivo fanno di lui un intellettuale interessante da leggere e soprattutto da riscoprire.
Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani Ritratti italiani (1904 -1931) un libro molto bello che Papini pubblicò da Vallecchi nel 1932.
Il libro mi è stato regalato per il compleanno dal mio caro amico Gianfrancesco, che ringrazio. Erano anni che lo cercavo e finalmente l’ho letto. Da molti anni introvabile, sarebbe davvero il caso di ripubblicarlo insieme a molti altri libri di Papini.
In Ritratti italiani lo scrittore, in una serie di sguardi dedicati, racconta gli autori e i poeti che sono stati importanti per la sua formazione.
Papini in queste pagine scrive di Dante, Petrarca, Machiavelli, Ariosto, Manzoni, Oriani, Serra, Govoni, Ungaretti, Savinio, e molti altri scrittori a lui cari.
Pagine intense di memoria in cui lo scrittore fiorentino con il suo stile personale e riconoscibile in grado di suggestionare il lettore usa la penna come un pennello e la pagine come tela.
Il risultato: ritratti straordinari destinati a restare nella storia universale della scrittura.
Papini scrive con la mano sul cuore e con grande competenza e passione ci coinvolge con il suo stile poetico e personale nella grande passione per la letteratura, raccontando i suoi protagonisti.
Di Corrado Govoni così scrive: «E la vita, in Govoni, corrisponde all’arte. Non è di quelli che cantano la campagna e non escono mai dai caffè o scoppiano in frenesie dopo aver fatto i conti della giornata. Govoni è un uomo che non somiglia altri uomini, per sua e nostra fortuna». Per Papini Marino Moretti è lo storico, il cronista e il poeta dei disgraziati e dei sacrificati, dei poveri umiliati, dei vecchi lasciati soli, dei celibi dimenticati, delle ragazze invecchiate dei bambini trascurati, di tutti quelli ai quali la vita dice di no.
«Giuseppe Ungaretti non è, in poesia, né uno scolaro, né un caposcuola. È un soldato semplice della poesia italiana come è soldato semplice dell’esercito italiano. E fa il suo dovere di poeta presentandoci in parole sofferte le distillazioni della sua anima pacificata dalla guerra».
Con queste parole straordinarie chiude il suo ritratto dedicato al più grande poeta italiano del Novecento.
Libri come questi andrebbero ripubblicati perché lo esige la memoria che come spesso accade è assassinata in letteratura (ma non solo) da un oblio spietato che lascia sull’asfalto i cadaveri di scrittori dimenticati.