Di Luca Morettini
Primo Levi è un’opera a fumetti scritta da Matteo Mastragostino e disegnata da Alessandro Ranghiasci. Nella postfazione l’autore tende a specificare che non si tratta di una fedele riproduzione biografica, quanto un tentativo di rappresentare la propria percezione della storia e della vita dello scrittore torinese. Per questo motivo decide d’affiancare alla narrazione dei ricordi di Auschwitz lo scenario di una classe della sua ex scuola elementare: invitato da una maestra, l’autore dei celebri Se questo è un uomo e La tregua racconta il proprio calvario di fronte ad un pubblico di bambini all’inizio scettici di fronte alla figura di un vecchietto “noioso come un nonno”, ma che con il passare delle parole e la rievocazione dell’orrore del lager non possono fare altro che indignarsi, piangere e raccogliersi in un abbraccio intorno al loro ospite e al suo sguardo perennemente in bilico tra il dolore e la risolutezza nel voler raccontare la sua esperienza personale.
Sebbene pubblicata nel 2017 dalla casa editrice Becco Giallo, Primo Levi è una di quelle opere per cui non esiste un tempo definito e una recensione a distanza di anni vale quanto una per un prodotto ancora fresco di novità: certo, la ripubblicazione poco tempo fa da parte del quotidiano La Repubblica in occasione del centenario della nascita di Levi ci fornisce un bell’assist per riprendere in mano il volume e scriverne. Ma stiamo parlando di una pagina di Storia così intensa, forte, drammatica, spietata e spaventosa che proprio per questo motivo merita di essere trattata costantemente. E’ lo stesso Levi a dirlo sul finale: “ogni giorno che passa siamo sempre meno a portare il peso della memoria di Auschwitz” e “ancora oggi la nostra più grande paura resta sempre la stessa, quella di non essere creduti, che tutto venga dimenticato”.
Eccolo qui il punto: il racconto, la divulgazione, la preservazione della memoria. Qualcosa per cui Levi ha dedicato gran parte della sua produzione letteraria, il voler impedire al mondo di voltare le spalle a tale infamia. Semplicemente e doverosamente ricordare. Ricordi dolorosi e impossibili da mitigare. La graphic novel non entra a fondo nella questione se la sua morte nell’aprile del 1987 sia stata accidentale o intenzionale, ma certi passaggi e certi disegni mostrano chiaramente la sofferenza di un uomo il cui passato è sempre più pesante ogni giorno che passa e che si pone delle domande a cui non riesce a rispondere, prima fra tutte qual è il merito della propria salvezza e di quella di altri sopravvissuti.
In bilico tra presente e flashback Primo Levi è un’opera che scorre in modo impeccabile ed è un piacere leggerla. I disegni sono splendidi e il bianco e nero e la loro delicatezza fanno da contraltare a quello che rappresentano e risultano estremamente efficaci, specialmente per la raffigurazione del lager e dei suoi prigionieri: i corpi scheletrici immersi nella penombra dei prigionieri, con le teste rasate e gli occhi bianchi senza pupilla (costante anche di molti altri personaggi) riescono a dare la percezione dell’angoscia. Inoltre, vi è nel tratto un costante senso d’indefinito che aleggia in tutto il lavoro e che riesce a dare forma e supporto a quella paura di dimenticare ciò che è stato con l’avanzare del tempo, o peggio ancora di ripetersi.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” disse Primo Levi. Conoscere per non ripetere quindi, affinché l’incubo non torni. E’ possibile? In fondo sui nostri tempi aleggiano certe correnti di pensiero che inquietano e sgomentano. Nonostante tutto l’orrore passato. A questa domanda Levi non riesce a rispondere. “Forse le persone pensano che noi reduci possiamo predire il futuro”, dice lo scrittore alla maestra. Però subito dopo cita le parole di un suo compagno di viaggio greco: “Guerra non è mai finita. Guerra è sempre”. E di fronte a queste nubi e questa incertezza non resta che chiudere il volume, continuare a conoscere e continuare a resistere.
Graphic Novel
Becco Giallo
2017
125 p., ill., brossura