Racconto a due voci per narrare un atto violenza: quello di uno sconosciuto nei confronti di una donna.
Le voci narranti: estremamente letterarie per il loro essere come separate dai corpi da cui provengono, quelli di Catherine e quello del violentatore.
La ragazza che ha subìto violenza: Claire, muta, anonima, condannata a vivere nell’ “immaginazione” dei lettori.
Tre personaggi quasi beckettiani nel loro monologare: perché non dialogano, perché non comunicano se non attraverso la mediazione dell’autore, Laurent Mauvignier, che si fa loro portavoce affinché il lettore tutto sappia senza nulla conoscere.
Claire è stata seguita, raggiunta e violentata nell’androne del fabbricato in cui abita.
Catherine, amica di Claire, nulla ha potuto udire perché impegnata ad ascoltare Schubert, la sua passione musicale: coltiverà nella mente e nel cuore un drammatico eppure incredibilmente asettico senso di colpa.
Claire abbandonerà il suo alloggio condiviso lasciando sola Catherine, più sola di quanto lei stessa supponesse di poter essere, perché della vera storia (ammesso che possa esistere una verità non contaminata dall’entropia del linguaggio) nessuno potrà parlare.
Non il violentatore, che di Claire conosce solo una forma fisica nel buio e un’epidermide che assomiglia a nient’ altro che a un abito di cui non ricordare colore, odore, sapore.
Non Catherine che è esaustivamente tormentata dal senso di colpa per riuscire a giustificarlo e sublimarlo: meccanismi mentali salvifici per rimuovere il rimorso, sino a prefigurare un futuro nel quale Claire non troverà posto.
Claire ha subito la violenza di notte, dopo essere uscita da un complesso sportivo dove il violentatore si suppone l’avesse spiata.
Inevitabile il richiamo al passo kafkiano: “Quando un uomo passeggia di notte su una strada e un altro, sconosciuto, che si può già scorgere di lontano – perché la strada è in salita e c’è la luna piena – ci viene incontro correndo, noi non lo acchiapperemo, anche se è debole e cencioso … poiché è notte e non è colpa nostra se la strada che si srotola dinanzi a noi è in salita e c’è la luna piena … forse il primo viene inseguito pur essendo innocente; forse il secondo ha intenzioni omicide e noi diverremmo complici di un assassinio; forse ciascuno di loro corre per conto proprio verso il suo letto; forse sono dei nottambuli; forse il primo è armato”. I due personaggi di Kafka non conoscono la conclusione del possibile incontro, forse non vogliono conoscerla.
Mentre Claire si proietta in altra da sé: la donna che potrà cancellare la memoria del suo drammatico e lacerante incontro perché nulla vuole conosce del suo carnefice.
Mauvignier non scava nei ricordi, malgrado la loro contiguità temporale, piuttosto nelle incertezze del presente: un presente immobile nell’attesa di un indefinito futuro nel quale si troveranno a vivere i tre personaggi. Un futuro che, coerentemente, non trova soluzione descrittiva.
Essenziale l’uso della tecnica narrativa alternata: lo stupratore (che resterà anonimo) e Catherine non si conosceranno mai, ma si sfioreranno nelle strade e nei luoghi frequentati da entrambi conservando il dubbio sulla reciproca idendità. Tecnica che contribuisce a interiorizzare il contenuto del romanzo, provocando un senso di incompiutezza nel lettore che, inevitabilmente, vede frustrati sia il desiderio di sapere di più sia, nello stesso tempo, la speranza di una giustizia riparatrice.
Giustizia che non arriva e che resterà come un’ombra proiettata negli ambigui effetti narrativi e linguistici.
Inevitabilmente, nell’ alternarsi dei pensieri sospesi dei due personaggi narranti, può accadere che il lettore sia trascinato ad aspettare che l’anonimo violentatore si trasformi in un individuo concretamente reale, descritto, magari in flash-back, nel momento dell’aggressione. E che Catherine riesca a far esplodere, distruggendo in sé ogni giustificazione, una manifesta e urlata tensione per il dolore provato per non essere riuscita ad aiutare Claire.
Non sarà possibile: il lettore dovrà, a sua volta, sublimare i propri desideri accettando che tutto resti confinato nel silenzio e nell’ombrosamente indefinito.
Dunque, l’emozione non potrà che sfumare nel totalmente letterario, sino a ripiegare nell’accettazione di un’indeterminatezza nella possibilità di un’analisi realistica dell’accaduto.
Magistralmente scritto, il romanzo I passanti afferma il potere della suggestione e la priorità dell’immaginazione sul reale.
E infatti, il violentatore anonimo “immagina” di dare un senso alla propria inutilità e al proprio vuoto esistenziale rovinando la vita di altri – in ciò rimanendo in bilico tra schizofrenia e paranoia – dopo averne osservato, con occhi nichilisticamente sarcastici, il loro comportamento: quello di coloro che aspettano, di coloro che non sanno cosa volere né dove andare. Pensarli, immaginarli diversi per poterli offendere e violentare, perseguendo inconsciamente la violenza e l’offesa verso se stesso e verso la propria inadeguatezza a vivere.
D’altra parte, Catherine si abbandona alla suggestione di riuscire a vincere il concorso per diventare insegnante di musica; eppure – dicotomica frattura del reale – immagina di poter vivere senza aspettare niente, “… per non soffrire ancora dello scarto che c’è tra i nostri gesti e le nostre parole, tra i futuri immaginati e il futuro … [pag. 111]”.
Infine, non si può che essere d’accordo con il traduttore Angelo Mollica Franco:
“È da riconoscere a Laurent Mauvignier … una sorta di patrimonio letterario invisibile, da cercare tanto nell’ipotassi così cara a Balzac o Proust, quanto in quella linea sotterranea che si situa tra Faulkner e Claude Simon … per non parlare di Kortès, Duras e, naturalmente, Celine e Joyce”.
Narrativa
Del Vecchio Editore
2'14
126 p.,