Rosso sbiadito
Quella mattina faceva particolarmente caldo, di solito doveva infilarsi la felpa anche a luglio inoltrato, ma quella mattina sudava anche solo a tenerla legata in vita. Decise quindi di fermarsi un attimo per toglierla, detestava sentire caldo e camminare sudata, decise di legarla ad un albero, conosceva quel sentiero nel bosco a memoria e sapeva bene che di lì non passava mai nessuno se non il sig. Fournier al ritorno dal pascolo e soltanto il giovedì e il sabato. Nessuno l’avrebbe toccata quindi e di ritorno verso le sei, l’avrebbe trovata ancora lì pronta per infilarsela, a quell’ora certo non avrebbe più fatto quel caldo infernale; se poi si sbagliava e qualche sconosciuto l’avesse rubata pazienza, era una vecchia felpa rosso sbiadito e sinceramente Anne non aveva ancora capito se quello fosse un colore che le piacesse. Di solito amava i colori scuri, il suo elemento era proprio il bosco, le striature della corteccia degli abeti, la terra umida sotto le foglie cadute, il muschio abbarbicato a nord delle rocce lungo il fiume e il grigio della nebbia che si mischiava al cielo, era quella la tavolozza più congeniale a lei.
Proseguì più leggera e rinfrescata e accelerò quindi il passo, il suo Martin era sempre puntuale e se avesse tardato anche solo pochi secondi avrebbe rischiato di perdere il momento. Il suo lavoro era quasi finito mancava solo qualche dettaglio nello sguardo ma non cosa da poco, chi dipinge sa che il magnetismo di un opera sta tutto lì, nella luce degli occhi del soggetto e la luce che scintillava in quelli di Martin era particolare, racchiudeva tutta la sua curiosità la sua maestosità e il suo timore allo stesso tempo. Si fissavano solo per pochi istanti Anne e Martin, eppure quel gioco di sguardi riempiva le giornate di Anne da ormai un anno e mezzo, era un’ammirazione reciproca la loro, nata pian piano con diffidenza e mutata in una rispettosa amicizia silenziosa. La fiducia che quel giovane cervo dimostrava ad Anne nel farsi ritrarre la inorgogliva e le riempiva il cuore. Mentre lo fissava scansare le foglie col muso per trovare le bacche cadute, sperava di riuscire a sfiorarlo un giorno, o di avvicinarsi almeno quel tanto che bastava per sentire il suo alito caldo sbuffare sulla sua mano, ma non gli avrebbe mai fatto un affronto simile non avrebbe mai superato quel giusto confine di rispetto che separa l’uomo moderno da quella natura arcaica e incontaminata ormai così rara e fragile. Mancava circa mezz’ora al punto di incontro, una piccola radura lungo il tratto più stretto e più basso del fiume, era lì che aveva incontrato Martin la prima volta, allora era ancora un cucciolo con i palchi non ancora formati, quando si arrestò bruscamente a causa di un pensiero improvviso. Si toccò il collo a conferma del suo dubbio e, si, era così aveva dimenticato il suo fischietto, Anne era muta, non c’era pericolo nel bosco, ma quella era una precauzione in più che suo fratello Thomas pretendeva a garanzia in cambio del permesso di passare le intere giornate a dipingere sola fra gli alberi. “Potresti scivolare, romperti una gamba o altro e come ti troverebbero i soccorsi?”, Tomas aveva dodici anni più di lei ed era già diventato nonno ma per Anne era sempre stato qualcosa di più perfino di un padre. Cercò il fischietto senza troppa preoccupazione nella sacca da disegno, niente, lo aveva di sicuro lasciato all’ingresso oppure gli era scivolato quando si era tolta la felpa rosso sbiadito, Anne sorrise “fa niente” pensò “non scivolerò proprio oggi” e accelerò di nuovo il passo verso la sua radura incantata. Con non poca fatica dettata dal sole cocente arrivò ventitré minuti dopo al suo piccolo studio en plein aire, Martin era già lì in allerta e pronto a scappare per il rumore dei suoi passi ma qualcosa nell’aria che aveva saggiato lo fece desistere e quando riconobbe lo sguardo di Anne si rilassò, la guardò un secondo sbattendo le palpebre come per dire “sei in ritardo”, “lo so scusami” rispose con gli occhi Anne mentre sedeva sulla sua roccia e tirava fuori il suo album e i suoi colori. Martin riprese a brucare fra le foglie ogni tanto alzava il muso per farsi osservare meglio quasi come sapesse che Anne lo stesse ritraendo, quel giorno la luce era meravigliosamente bianca e intensa, la giornata perfetta per dipingere e il pennello scivolava dolcemente sulla carta poi impastava la tempera direttamente dal tubetto e di nuovo scivolava sulla carta ruvida. All’improvviso Martin sbuffò quasi come per chiamare Anne, non lo aveva mai fatto ed Anne incrociò i suoi occhi per meno di un secondo ma in quel briciolo di tempo riuscì a vedere la preoccupazione e la paura di Martin prima di sentirsi afferrare con forza da dietro. La sua visuale cambiò di colpo ora stava osservando le cime degli alberi immobili nel cielo mentre una mano le stringeva la bocca e un ‘altra affondava qualcosa nel suo ventre, cercava di dimenarsi ma quella persona dietro di lei era forte e bella piazzata sentiva il sudore di quella grossa mano sul suo mento e un dolore mai provato all’addome forse un coltello, una pietra affilata o un tizzone. Il dolore bruciava forte dentro di lei che ancora stava cercando di realizzare d’un tratto una strana consapevolezza “è la fine”, ebbe la certezza che il suo aggressore fosse un uomo perché le si spostò sopra non appena le forze la abbandonarono, allora sapendo che quelli erano i suoi ultimi istanti chiuse gli occhi “non voglio vedere il volto di un assassino come ultima cosa al mondo”. Non capì bene cosa le avesse fatto perché non sentiva più nulla dalla vita in giù e pochi secondi più tardi quando riaprì gli occhi era di nuovo sola, lui se n’era andato e Anne giaceva a terra nel suo sangue, girò la testa a sinistra e potè vedere il suo album fra le foglie poco distante da lei, un angolo era immerso nel fiume e la tempera che ritraeva Martin iniziava a sciogliersi in acqua, nessuno lo avrebbe mai visto finito quel ritratto testimone di un’amicizia particolare, se solo avesse avuto il fischietto, Anne si lasciò andare alle lacrime. E’ strano come la mente negli ultimi istanti di vita decida da sola cosa pensare, Anne si sentiva bruciare dentro ma allo stesso tempo si sentiva gelare, un freddo mai provato prima, e il suo ultimo pensiero andò a quella felpa rosso sbiadito lasciata poche ore prima legata ad un albero, desiderava averla indosso ora per sentire meno freddo, la bramava con le nulle forze rimaste eppure ancora era in dubbio se quel colore le fosse congeniale, certo non lo avrebbe mai usato nei suoi quadri eppure il suo ultimo quadro si tingeva proprio di rosso. D’un tratto sentì un fruscio e la paura le scaldò il sudore “è tornato” pensò, ma quando fu sopra di lei una sensazione di pace la attraversò e sentì sbuffare un alito caldo sule sue guance, “Martin”. Il giovane cervo rimase accanto alla sua amica, rispettoso com’era sempre stata rispettosa Anne dei loro momenti insieme, i suoi palchi maestosi le fecero ombra finché non chiuse definitivamente gli occhi quello fu l’ultimo sguardo di Anne. Era venerdì e il corpo di Anne rimase freddo e immobile per tutta la notte, la mattina dopo il sig. Fournier avrebbe trovato una felpa legata ad un albero e qualche chilometro dopo Bérénice il suo cane avrebbe segnalato il corpo senza vita di Anne. Un mese dopo le indagini erano ancora in corso, nessun risvolto, nessun colpevole e tutto ciò che restava a Thomas della sorella era un blocco annacquato in cui i disegni non erano più distinguibili e una felpa rosso sbiadito che conservava gelosamente senza sapere che ad Anne quel colore non era mai andato a genio.