Tutto a un euro
Di Flavio Prestifilippo
Le piccole ruote arrugginite giravano come affaticate. Lui cercava di farle muovere, ma ogni venerdì mattina era sempre peggio. Per fortuna quel giorno c’era un bel sole. L’aria tersa diventava però sempre più fredda. Stava per fare la sua ricomparsa il mese di dicembre. A breve sarebbe giunto puntuale Natale, con le sue giornate piene di colori e luminarie, i negozi sempre aperti, pronti ad accogliere clienti che felici e frettolosi si apprestavano a fare gli ultimi acquisti, in previsione di imminenti cenoni e giocate a carte. Qualcuno più fortunato passava le vacanze fuori, ma i più rincorrevano inutili oggetti da donare ad amici e parenti. Nessuno mancava di sbirciare il proprio smartphone. Video natalizi, promesse d’amicizia e messaggi di auguri arrivavano incessanti coi loro trilli, come fossero stormi di uccelli. Tutto tristemente virtuale. Il vecchio Alfio trascorreva il suo Natale da solo, davanti alla bottiglia di vino, una porzione di schiacciata appena acquistata dall’amico fornaio e la sua frutta, le finestre con gli scuri completamente aperti. Poteva ascoltare e osservare l’allegra baraonda proveniente dall’esterno. In questo modo giungevano indirettamente anche a lui le parole magiche: Auguri di Buon Natale! Nina, sua moglie, era scomparsa pochi anni prima, lasciandolo solo con la sua pensione sociale, due stanze a pianoterra nel quartiere più popolare della grande città e una stufetta a gas. Tutto era accaduto una sera di febbraio, quando rincasando l’aveva trovata senza vita. Due anni fa era venuta ad abitare vicino a lui una coppia di migranti di colore, coi loro figli, due maschietti indiavolati. Col passare dei mesi i monelli avevano scoperto che accanto a loro abitava quel vecchio solo e, prendendo sempre più coraggio, si erano avvicinati alla finestra al pianterreno per curiosare. Alfio aveva sorriso loro quella prima volta, ma subito li aveva visti scappare rincorrendosi. Poi, un bel giorno, il maggiore chiese di entrare. Il fratello lo seguì poco dopo. Iniziò così un connubio fatto di giochi e storie strampalate che Alfio inventava lì per lì per i suoi piccoli ospiti. Quasi a ricompensa la madre gli portava ogni tanto qualche pietanza cucinata da lei con ricette del suo paese d’origine. La sera di Natale, festa della famiglia per antonomasia, il vecchio Alfio la trascorreva però in completa solitudine. Con le vendite del venerdì aveva acquistato dai cinesi una piccola radio che teneva sempre accesa quando era in casa. Ogni mattina iniziava la giornata col solito rito: una sosta a un chiosco poco distante da casa, dove ormai lo conoscevano tutti. Prendeva un buon caffè a soli cinquanta centesimi e a volte mangiava qualcosa regalatagli dai gestori del bar. – Ziu Alfio, abbiamo fame stamattina, nevvero? – gli chiedevano immancabilmente. – Un poco – rispondeva lui con un sorriso. – Ieri sera picca mangiai, verdura e un poco di pane. Poi si appoggiava al freddo bancone di lamiera. Gli piaceva ascoltare i discorsi dei clienti man mano che arrivavano. Salutava sempre con un cenno qualcuno che conosceva. Sebastiano, detto Nello, non si avvicina mai invece al chiosco. I motivi erano molteplici. Uno però prevaleva su tutti: il suo ruolo di viceispettore di polizia. Non era ben visto nel quartiere. Lui lo sapeva ed evitava attriti e conflittualità. Con Alfio invece era diverso. Il vecchio lo conosceva fin dalla più tenera età. Era stato infatti amico del padre, scomparso da tempo. Inoltre le loro abitazioni erano state contigue. Col tempo Nello gli si era affezionato, e aveva cominciato a chiamarlo ziu Alfio. Per lui l’appellativo assumeva però un significato ben diverso e profondo. Si incontravano spesso la mattina del venerdì. Facevano discorsi semplici, ma gli sguardi, accompagnati da sorrisi reciproci, erano ben più significativi di ogni parola. Di tanto in tanto Alfio amava ricordare quando in settembre, verso sera, lui e il padre di Nello sedevano davanti all’uscio di casa. Accadeva allora che, nel silenzioso mutare di stagione, un vento lieve di levante portasse con sé l’odore del mare, facendo riaffiorare memorie di antiche vicende contadine, ricordi di un mondo che non c’era più. A volte era invece il frinire di una cicala, smarritasi tra le vie cittadine nell’incipiente autunno, a fare riemergere nei due amici storie remote di vita quotidiana e vecchi modi di dire. Il tutto, accompagnato da fragorose risate. Nello ricordava poco del passato, solo qualche scena qua e là, ma le periodiche rivisitazioni di Alfio l’avevano convinto di esserne stato inconsapevole testimone. Dopo aver comprato qualcosa, il poliziotto si congedava da lui. Nel salutarlo appoggiava la mano sulle sue spalle, con una carezza. Poi andava via, il cuore meno sconsolato e la mente colma di sensazioni. Alfio amava restare ancora un poco nei paraggi del chioschetto, seguendo le chiacchere dei clienti. Protagonista assoluto di quelle discussioni era quasi sempre il lavoro, ma anche il tempo e il gioco del calcio. Mai i politici. Questi ultimi sembravano troppo lontani, distanti anni luce da quelle persone semplici: il loro linguaggio era incomprensibile. Recentemente però c’era un politicante del nord che si faceva capire meglio di tanti altri. Alfio passava alla lettura del giornale locale che il gestore teneva sempre a disposizione. Se ne impossessava dopo aver atteso con impazienza, come se improrogabili impegni lo attendessero. Quindi iniziava a leggere. Era attratto soprattutto dalla cronaca nera locale. Dai titoloni andava alla piccola criminalità, fino agli scippi, ormai molto comuni, a danno soprattutto di malcapitati turisti. L’uccisione di qualcuno gli creava sempre una certa angoscia. Quando scopriva una serie di foto segnaletiche, ne scorreva avidamente la successione, spostandosi sotto la luce per concentrarsi meglio. Videmu cu attaccaru aieri – ripeteva ad alta voce. Ogni tanto un amico gli si avvicinava per condividere con lui la lettura. Questo lo conosco, quest’altro no. Così si dicevano scambiandosi occhiate d’intesa e ammiccamenti, oltre a grandi sorrisi. Poi Alfio si allontanava per comprare qualcosa. Un giorno di novembre, mentre pioveva forte, trovò rifugio in un minuscolo caffè. C’erano solo dei tavolini e due immancabili slot machine. Un’anziana con grossi occhiali neri si trovava davanti a una di quelle macchinette, giocando accanita e attingendo le monete da una borsa blu dal manico rotto. Ogni tanto si voltava a guardare, come in cerca di fortuna e ispirazione. A sorvegliare tutto al bancone si trovava un donnone con le mani guantate e un grosso seno. Attratto Alfio si mise a osservare la sconosciuta. Poi chiese un caffè. I due cominciarono a guardarsi senza alcun timore. Dapprima in silenzio. Poi la donna fece rimbombare la sua fragorosa risata nel locale, seguita da quella di Alfio. Chissà, forse si erano riconosciuti. Altro rito del vecchio era quello di recarsi una volta al mese alla posta per ritirare la sua misera pensione. Nella bella stagione, nello spiazzo vicino al chiosco, dove le aiuole cercavano disperatamente di dare segno di sé, Alfio aveva un altro passatempo, che lo teneva occupato anche parecchie ore. Un tavolo di pietra si trovava al centro della piazzola , e attorno a esso alcune persone, tutte di una certa età, sedevano ciascuno sulla sedia che si era trascinato da casa. Giocavano a carte. Alfio perlopiù assisteva. Raramente si lasciava coinvolgere. Si divertiva un mondo a osservare con aria seria le inevitabili discussioni che ne seguivano. Faceva molta attenzione a non parteggiare apertamente per l’uno o per l’altro, fingendosi sempre distratto e sovrappensiero. Ogni venerdì mattina invece strascicava il carrello da supermercato, regalo di un amico, colmo di frutta da vendere. L’idea gli era venuta un giorno gironzolando per le bancarelle. Ho anch’io qualcosa da vendere, si era detto, limoni, mele e altre piccole cose. Così si era procurato quel vecchio carrello e il giovedì lo riempiva di frutta, anche a seconda della stagione. I limoni però non mancavano mai. Venivano dai sei alberi che possedeva. Spesso portava con sé pure cipolle e mele dell’Etna, almeno quando non erano guaste. In autunno, ficodindia non suoi, rubacchiati da recinti di terreni conosciuti. Alfio si era procurato un arnese che i contadini conoscevano bene: u coppu, con cui raccogliere i gustosi frutti, che poi riponeva in grandi e buste capienti per poi allontanarsi di gran fretta e recarsi alla fermata dell’autobus. Portava con sé pure una sedia pieghevole appesa a un gancio del carrello. Appoggiato sopra, quasi a copertura, un ampio cartello in compensato, dove a grandi lettere si leggeva: Tutto a un euro! Alfio sceglieva il posto migliore e seduto davanti alla merce aspettava i clienti. Chi veniva lo conosceva ormai da anni e si portava già da casa la busta necessaria a trasportare la mercanzia. Non mancava mai una chiacchierata sul tempo e sugli acciacchi reciproci. Quando qualcuno riferiva di una figlia che si maritava, o di una nascita, Alfio doveva fare uno sforzo per partecipare alla gioia altrui. Suo figlio era scappato di casa appena diciottenne, all’improvviso, senza più dar notizie di sé. Di tanto in tanto qualcuno gli recava sue nuove: Sta bene, fa il cameriere al nord e ha una figlia. Tutti sapevano che quello era il punto debole del vecchio, e lo informavano volentieri. Alfio dava credito a tutti. L’ultimo a presentarsi era sempre Nello. Dopo i consueti saluti, il poliziotto si allontanava anche lui con i suoi acquisti. Poi all’ora di pranzo il vecchio tornava a casa trascinandosi dietro il carrello con la merce invenduta, i soldi guadagnati ben nascosti nella tasca. Il giorno più bello era però quando andava alla posta per ritirare la pensione. Non solo per i soldi, ma perché poteva trattenersi a chiacchierare piacevolmente con gli impiegati dell’ufficio. Un mattino di dicembre, poco prima di Natale, in una freddissima giornata, Alfio tornava dall’ufficio postale col suo prezioso carico ben nascosto nella fodera interna del suo giaccone nero. Lungo la strada venne fermato da uno sconosciuto. Era un uomo di trent’anni circa, con uno strano accento che gli parve del nord. – Alfio, forse non ti ricordi più di me. Sono Saro, l’amico d’infanzia di tuo figlio Vito. Il vecchio dapprima si ritrasse, sulla difensiva, poi a sentire quelle parole, cominciò a rilassarsi. Lungo la strada parlarono dei tempi lontani. L’uomo pareva essere a conoscenza di numerosi particolari. – Sono arrivato qualche giorno fa, e ho notizie di tuo figlio – aggiunse, alla fine. – Sono buone anche per te! Essendo ormai vicino a casa, Alfio lo esortò a entrare. – Così mi racconti tutto con calma e ti bevi pure un sorso di vino. L’indomani era venerdì. Dalla casa di Alfio anche a tarda mattinata si potevano udire le note di un valzer. Il vecchio, disteso per terra non le avrebbe più udite. Una larga macchia di sangue gli contornava la testa come un’aureola. Il viceispettore Sebastiano trovò in un angolo della stanza il giaccone do ziu ridotto a brandelli. Sul tavolo due bicchieri di vino vuoti solo a metà. Vicino alla finestra faceva bella mostra di sé il carrello pieno di frutta, con sopra il foglio di compensato.
Tutto a un euro
Immagine di copertina: Eric Fischl, Frailty is a moment of self reflection. © Eric Fischl. Photo © Dorothy Zeidman