Di Geraldine Meyer
Combattenti tra democrazia e fascismo è una documentatissima, ponderosa eppure agilissima opera di Sandro De Amicis. Frutto di un lavoro quasi ventennale, il volume edito dalla viterbese Sette Città è il lavoro di uno studioso di storia contemporanea e dei movimenti politici del ‘900. Ma è anche una lettura che, oltre a contribuire a dare nuove interpretazioni rispetto alla vulgata nazionalista e fascista, restituisce una Viterbo che, a inizi ‘900 era una realtà politicamente vivace, democratica e fondamentalmente antifascista.
De Amicis, in diciassette capitoli, una appendice documentaria accuratissima e una altrettanto accuratissima e ricca bibliografia, ricostruisce la storia della nascita della sezione viterbese dell’Associazione Nazionale Combattenti, che vide la luce nell’agosto del 1909 per “morire” nel 1925 per volere del regime fascista che, in dispregio della democrazia e del portato comunque ricco di visioni politiche, pur spesso agli antipodi l’una dell’altra, l’ANC aveva rappresentato. Eppure proprio la sezione viterbese, dopo scontri movimentati e interessanti dal punto di vista della ricostruzione storica, sarà tra le ultime a chiudere i battenti. E anche questo dato, chiamiamolo anagrafico, la dice lunga sulla complessità della realtà della Viterbo di quegli anni. Sì perché ciò dimostra come e quanto a Viterbo il regime fascista abbia operato, rispetto all’Associazione ma non solo, come una forzatura più che come conseguenza di una naturale, pacifica e spontanea adesione.
Ma perché un’opera sull’Associazione Nazionale Combattenti? Per molti motivi che sono di estremo interesse anche per un lettore non avvezzo alla storia o alla storiografia. Intanto non bisogna dimenticare quanto la Grande Guerra sia stata, per l’Italia in particolare, qualcosa che segnò in maniera indelebile tutta la nostra storia. Basti pensare alla questione fiumana e, in generale, all’irredentismo fascista post-bellico. In ogni caso non si può sorvolare sulle derive nazionaliste che questa tragedia provocò. In tal senso sono davvero ricche di suggestioni le pagine che questo libro dedica a questo specifico aspetto. Pur sapendo quanto un aspetto storico debba, per serietà, partire da una sua contestualizzazione, è inevitabile leggere alcune di queste pagine individuando alcuni germi, già da allora, di alcune storture attuali.
Ma la peculiarità della Grande Guerra, con una forzata semplificazione, è da rintracciarsi (almeno per la lettura di questo libro meraviglioso) nella cosidetta “guerra di trincea”. Immagine e incarnazione di morti, devastazioni e dolore. E di una conseguente messa in primo piano della figura dei reduci. Ex combattenti che, inevitabilmente e legittimamente, tornati in patria in un contesto non certo pacificato (forse tacevano le bombe e i fucili ma il fuoco sotto la politica era tutt’altro che spento) assursero ad un ruolo politico di primo piano e, con spinte e visioni diverse, riversarono anche nel clima sociale di allora, tutta una serie di rivendicazioni.
De Amicis ci porta all’interno di tutte queste rivendicazioni e del loro intrecciarsi tra livello nazionale e livello locale. Ed è forse questo a rappresentare uno degli aspetti più interessanti di questo suo Combattenti tra democrazia e fascismo. Dove, già dal titolo, democrazia e fascismo sono i due contesti in mezzo ai quali l’Associazione Nazionale Combattenti si mosse. Partendo dalla natura sostanzialmente moderata e riformista da cui l’Associazione principalmente prese le mosse.
Una straordinaria carrellata tra interventismo, democratico e nazionalista, diverse correnti di pensiero, incapacità, spesso, di strutturarsi politicamente, e cambiamenti politici e ideali del dopoguerra. Con, in sottofondo, il regima fascista che sta arrivando, portando con sé molti esponenti dell’Associazione ma anche vedendo in molti di essi alcuni dei più strenui avversarsi.
Questo libro mette, giustamente, in primo piano l’agire del combattentismo viterbese ma lo fa inserendolo nello sguardo più ampio delle divisioni e degli eventi che dilaniano il nostro paese in quei decenni. Davvero una lettura interessante che va ben al di là del localismo ma, anzi, restituisce a Viterbo una sorta di “storia paradigmatica” nei decenni post –bellici e, a seguire, in quelli del regime.
Storia
Sette Città
2019
395