Gli inizi della natura morta in Lombardia tra XVI e XVII secolo
Di Gianrico Gualtieri
La natura morta nasce come dettaglio naturalistico con valenze simboliche, dapprima nel verso dei ritratti o come particolare nelle scene sacre e poi acquistando progressivamente una sua autonomia in vari centri; in Italia la Lombardia, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, è stato uno dei centri più importanti, per diverse ragioni. L’influenza di Leonardo e la sua ricerca al confine tra “scienza”, arte e naturalismo; la formazione di un nucleo di spiritualità “forte” dovuta alla presenza di S. Carlo Borromeo, che fu legato a personalità vicine al Caravaggio; in concomitanza con tali influenze, una tradizione di ricerca di una verità “ottica” concepita come riflesso di una verità morale (si pensi a quella che sarà, al principio del XVIII secolo, la visione di Giacomo Ceruti), tradizione che continuerà a lungo nella regione.
Non è sorprendente dunque che la natura morta, e in particolare quella lombarda, nasca e si caratterizzi per un clima di simbolismo religioso integrato all’intimità domestica, ad un senso del sacro come facente parte dell’esperienza quotidiana. Gli inizi, alla fine del XVI secolo, sono ben esemplificati dalla figura del cosiddetto Maestro della fruttiera lombarda, figura ipotetica alla quale sono attribuiti un certo numero di dipinti con caratteristiche ben definite: una fruttiera del tipo usato in Lombardia è posta su un ripiano di pietra, ricolma di frutti talvolta misti ad ortaggi e ad animali morti, il tutto con evidenti riferimenti simbolici e cristologici: le ciliegie evocano il sangue della passione, gli uccelli morti il sacrificio di Cristo, e così via.
Il tutto è trattato secondo i caratteri della scuola italiana, cioè con un senso dell’idealizzazione e della semplificazione dei volumi per grandi masse, a riempire lo spazio con un sentimento di monumentalità. Caratteri evidenti nella copia del dipinto originale, eseguita dal redattore, qui presentata. Questo tipo di dipinti dovevano essere già relativamente comuni negli anni in cui il giovane Caravaggio nasce e si forma come pittore, alla scuola del manierista Simone Peterzano.
In una fase sempre iniziale, ma già più sviluppata della natura morta lombarda si collocano gli altri due dipinti, fruttiera con pesche e prugne e alzata con pesche e mele, copie di lavori originali di Fede Galizia (Milano, 1578-1630). Pittrice rinomata ai suoi tempi, la Galizia dipinse anche scene religiose di sapore manierista, ma l’attenzione della critica si è portata sul suo lavoro di natura morta, a causa della sua appartenenza al genere femminile, cosa comunque non comunissima per l’epoca; e a causa della precocità delle sue realizzazioni: la prima natura morta datata che si conosca in Europa è di sua mano e reca la data 1602.
La monumentalità un po’ naïf del Maestro della fruttiera lombarda si è raffinata e decantata in toni al confine tra il lirismo poetico, la verità ottica e l’intimità domestica; il tutto senza rinnegare il simbolismo religioso.
La fattura è precisa ed elegante pur restando nell’ambito delle forme “idealizzate” e “volumetriche”. Siamo ancora in pieno manierismo ma con queste ed altre realizzazioni, anche quelle del Figino, dei Campi, di Panfilo Nuvolone e del giovane Caravaggio, si avvia una reazione alla crisi del Manierismo che porterà ad un sempre maggiore sviluppo del genere e alle realizzazioni eleganti e sofisticate nella seconda metà del XVII secolo.
Tutte le immagini riportano le copie degli originali eseguite dallo stesso Gianrico Gualtieri, autore dell’articolo