Di Alessandra Durighiello
Igor Mitoraj – il valore profondo della classicità nella cultura contemporanea
Risulta superflua ogni parola a commento della bellezza esplicita delle opere di Igor Mitoraj, espressioni di un’arte che potrebbe sembrare a prima vista di facile comprensione attingendo alle forme dell’antichità greco-romana e dunque familiari all’immaginario della cultura occidentale.
A seguito del progressivo svuotarsi dell’arte informale e dell’astrattismo, Mitoraj avverte la necessità di ripartire dall’arte classica, non recependola passivamente, quanto attivando con essa un dialogo, percorrendo attraverso le sue opere non un viaggio nella storia ma nella presa di coscienza del tempo perfetto e infinito che solo dalla vera arte si può trarre.
Igor Mitoraj nasce nel 1944 a Oederan in Germania da madre polacca e padre francese deportati dai nazisti; un anno dopo la città di Dresda, poco distante, viene devastata dal bombardamento degli Alleati. È impossibile che la sua memoria abbia potuto fissare il ricordo dei cumuli di macerie e delle strade disseminate di cadaveri mutilati, eppure divenuto adulto, la sua arte si nutre di corpi caduti e smembrati. Ritornati in Polonia, la madre sposa Czeslaw Mitoraj che adotta Igor dandogli il suo cognome. Studia pittura all’Accademia di belle arti di Cracovia seguendo i corsi di Tadeusz Kantor e nel 1968 si trasferisce a Parigi dove si iscrive all’ Ècole des Beaux-Art e inizia a praticare la scultura, riuscendo in breve tempo ad impadronirsi di una tecnica perfetta pari a quella dei grandi maestri dell’antica Grecia come Prassitele, Scopas, Fidia.
Mitoraj non può però essere incluso tra i neoclassicisti: se Canova propone opere caratterizzate dall’assoluta perfezione delle forme e dalla levigatezza delle superfici, le opere di Mitoraj sono mutilate, crepate, sono frammenti che non subiscono la rovina ma testimoniano drammaticamente l’operare del tempo, raggiungendo l’effetto della monumentalità con il solo richiamo ad una passata perfezione di dimensioni imponenti.
Colossi caduti e frammentati, busti mutilati, teste bendate raccontano la perdita d’identità, di riferimenti dell’uomo contemporaneo, la fatica nel dare senso ad una condizione precaria e le crepe, le screpolature che intaccano quei volti e quei corpi perfettamente levigati, denunciano la fatica del vivere. Più volte si affida alla figura di Icaro per rappresentare la sfida ai limiti che connotano la condizione umana, l’incoscienza dell’uomo moderno destinato a soccombere.
Nel 2011 viene realizzata nella Valle dei Templi di Agrigento, la prima di una serie di esposizioni di carattere monumentale e straniante; viene creato un ambiente metafisico dechirichiano, dove le persone sono libere di toccare e muoversi intorno all’opera, dove non esistono barriere mentali né fisiche per vivere un’esperienza totale dell’arte. Le sue opere finiscono per fondersi e confondersi negli scavi, valorizzandosi reciprocamente, sono frammenti titanici muti, possenti e inquietanti che ricordano nella loro immanenza il valore profondo della classicità nella cultura contemporanea. Segue Pisa nel 2015, i Mercati di Traiano a Roma nel 2016 e nel 2017 Pompei dove la statua raffigurante Dedalo nel Tempio di Venere, donata al MIBACT, resterà per sempre.
Igor Mitoraj muore a Parigi nel 2014.
L’immagine di copertina è da tuscanypeople.com