L’omaggio del Teatro alla figura e all’opera di Primo Levi a cento anni dalla nascita
Di Alessandra Durighiello
Il 31 luglio 2019 Primo Levi avrebbe compiuto cento anni. La sua potente testimonianza risulta oggi quanto mai urticante ma necessaria e così, anche il Teatro, si è mobilitato per dare nuovamente voce e corpo alle sue parole, il cui intento non è solo quello di documentare l’esperienza estrema dell’internamento ad Auschwitz, quanto meditare sul comportamento umano in condizioni eccezionali, denunciare le conseguenze peggiori della xenofobia in modo da poterle prevenire – quando essa diventa un «sistema di pensiero», «quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo allora, al termine della catena, sta il Lager» – , raccontare per liberarsi dall’ossessione anche se, alla fine, vedrà nella morte la sola via per liberarsi da una prigionia troppo soffocante e crudele per essere sopportata.
La compagnia FANNY&ALEXANDER ha realizzato Se questo è Levi, per la regia di Luigi De Angelis, una performance/reading itinerante dedicata alla figura di Primo Levi, interpretato da Andrea Argentieri, un ritratto d‘autore che affronta in prima persona le opere dello scrittore. Lo si incontra in tre luoghi simbolici come uno studio privato, un’aula magna, una sala di un consiglio comunale, luoghi che esprimono una domanda diversa in relazione a tre opere di Levi, Se questo è un uomo, Il sistema periodico e I sommersi e i salvati: il rapporto intimo e necessario di Levi con la scrittura, il rapporto con il padre e la famiglia, la sua appartenenza alla comunità ebraica; la dignità del lavoro, la funzione comunitaria della letteratura, la necessità di un racconto che abbia la trasparenza scientifica di un processo chimico; il giudizio, l’interrogarsi sulla necessità di sospendere l’odio.
Il 31 agosto ha debuttato in prima nazionale al Todi Festival 2019 Il canto di Ulisse, una produzione della compagnia Diritto e Rovescio, con Roberto Herlitzka e Stefano Santopago, accompagnati dai musicisti Alessandro Di Carlo al clarinetto e Alberto Caponi al violino, per la regia di Teresa Pedroni; il reading si basa sui testi di Primo Levi L’ultimo Natale di guerra e Se questo è un uomo, da cui è tratto il capitolo Il canto di Ulisse che dà il titolo allo spettacolo. Levi e Pikolo stanno trasportando con le stanghe il recipiente con la zuppa per la loro baracca; volendo insegnare l’italiano a Pikolo che è alsaziano, Levi si serve nella sua veloce lezione del XXVI canto dell’Inferno della Divina Commedia in cui Dante incontra Ulisse. I versi sepolti sul fondo dell’animo umano, faticosamente recuperati in uno sforzo di memoria, sono «uno squillo di tromba» che lo risveglia dal torpore della vita brutale, che gli fa dimenticare la realtà degradante del luogo sollevandosi per un momento al di sopra dell’orizzonte della prigionia, gli fa dimenticare la sua perdita d’identità, l’essere ridotto a un numero tatuato sul braccio, ad una larva in un processo di degradazione e umiliazione infinita. La sua essenza di uomo è stata calpestata e vilipesa ma non sono riusciti a piegare quei valori più alti che la poesia contribuisce a tenere vivi. Se Ulisse ha la colpa di aver infranto le barriere della tradizione, di voler conoscere un mondo ignoto verso il quale si proietta per appagare la sua natura più profonda di uomo, i prigionieri hanno la colpa di sfidare il nazi-fascismo e anche loro sono destinati a soccombere, anche per loro il mare si richiuderà; tra le radici dell’antisemitismo tedesco c’era anche l’odio e il timore per l’acutezza intellettuale dell’ebraismo europeo che Levi sente simile a quella dei compagni di Ulisse, di cui si riconosce rappresentante ed erede.
… Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.
… Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e in là menando
Come fosse la lingua che parlasse
Mise fuori la voce, e disse: Quando …
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese!⌠…⌡E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sì Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: « … la piéta Del vecchio padre, né ‘l debito amore Che doveva Penelope far lieta … » sarà poi esatto?
… Ma misi me per l’alto mare aperto.
Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. ⌠…⌡«Mare aperto». «Mare aperto». So che rima con «diserto»: « … quella compagna Picciola, dalla qual non fui disierto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:
… Acciò che l’uom più oltre non si metta.
«Si metta»: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
Li miei compagni fec’io sì acuti …
… e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. « … Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima? … Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine. – Ça ne fait rien, vas-y tout de même.
…Quando mi apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto
Che mai veduta non ne avevo alcuna.
Sì, sì, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano … le montagne … oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino! ⌠…⌡
Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: « … la terra lagrimosa diede vento …» no, è un’altra cosa. ⌠…⌡
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque …
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui … ⌠…⌡
Il canto di Ulisse da Se questo è un uomo di Primo Levi
L’immagine di copertina è presa da Wikipedia