MISSION IMPOSSIBLE. COME UN AUTORE PUO’ DISTRUGGERE IL FASCINO DI PARIGI A PROPRIA INSAPUTA
Di Paolo Massimo Rossi
E’ quello che sembra riuscito a fare Giuseppe Maria Gnagnarella con il suo Rendez-vous a Saint-Germain dove batte il cuore di Parigi
Un “volemose bene” a tutti i costi.
I personaggi sono belli, colti, sani, benestanti ed eleganti.
Parigi è quella delle cartoline di una volta o quella che si può scaricare dal WEB o da Trip Advisor: un perfetto florilegio di stucchevoli deja vue.
I dialoghi sanno di falso e di irreale, costruiti ad hoc tanto per far parlare i protagonisti senza mostrarne personalità e capacità comunicative.
Mi chiedo: ma esiste una compagnia di amici che si ritrovano a cena parlando solo per frasi fatte, dicendo le più ovvie banalità, (che bella la Sorbonne! Certo che Parigi è sempre Parigi!) come fanno Sofia, René e Cecile? E tutta questa gente, che ha vissuto a Parigi per anni, almeno una volta è stata a Aubervillier o a Saint Denis (per citare solo i meno peggio tra i quartieri)? O si sono limitati a frequentare Rivoli, la pasticceria Angelina e il Pont Neuf romanticheggiante?
Sembra che Sofia delle brutture del mondo non abbia mai saputo nulla, quasi novella Gautama prima della fuoriuscita dal palazzo reale. Per non parlare della sua famiglia romana che aleggia evanescente, o del padre, sorta di Monsieur tout blanc di Saint-Germainiana memoria (mi si perdoni la forzatura della citazione):
“Monsieur Tout-Blanc
Si vous partez un beau matin
Les pieds devant
Pour vos châteaux en paradis
Monsieur Tout-Blanc
Le paradis, c’est peut-être joli.”
E Ferré aggiunge: “Moi j’ai pas le temps” … Mentre, invece, i protagonisti di Rendez vous sembra che abbiano tempo solo per lo “chateau en paradis”.
Dunque, Sofia passa nella storiella senza lasciare una significativa traccia di sé, altrimenti che per la dedizione a una presunta – e non concludibile – vocazione artistica, all’interesse per la moda e l’eleganza, e alla ovvia celebrazione del delizioso appartamentino dalla cui finestra si può vedere la cupola del Louvre; come anche (inevitabilmente) al vino (a proposito il riferimento al vino da conservare per future cerimonie riguarda abitudini abruzzesi – e frentane – e certo non la cultura romana dei protagonisti). Naturalmente nulla si saprà degli amori di Sofia (l’erotismo: non sia mai!), le fosse capitato di farsi ingravidare dal suo collega di corsi Jann, un fatto così naturale avrebbe distrutto ogni edulcorante artificio. Certo uno scrittore ha tutto il diritto di raccontare la propria visione del mondo – anche se gli sfugge una verità elementare: senza l’animale non si hanno viscere – ma il lettore, a sua volta, ha tutto il diritto di chiudere il libro sbadigliando.
Si può, però, scusare parzialmente l’autore: può essere difficile parlare di Parigi senza rimanere vittima dei luoghi comuni di cui l’immaginazione romantica e i disegnini di Peynet hanno permeato una certa iconografia superficiale della città. Ma certamente non se ne può parlare semplicemente elencando melensi topos turistico-letterari come il Dom Perignon o qualche ristorante alla moda. Almeno ci avesse raccontato che Sofia, in una delle sue passeggiate per il Quartier Latin, aveva conosciuto Dédé-la-croix e Bébert d’Anvers: si sarebbero riscattati lei e Gnagnarella. (Nota a margine: Saint Germain è un’abbazia e non una cattedrale.)
Narrativa italiana
Gangemi Editore
2016
95 p, ill, brossura