Fotopercorrendo Parigi.
Foto e testo di Paolo Massimo Rossi
Minimalisticamente.
L’occhio della mente genera la ricerca e concede al meccanismo dello scattare non il perseguimento del bello, ma semplicemente un “visto” che ha questo di particolare: rimarrà immobile a raccontarsi. In altri termini il processo che porta all’immagine fissata sulla pellicola o sulla scheda non colpisce l’emozionabilità, al più riesce a parlare delle condizioni che lo hanno permesso.
Non più la sostanza, ma il movimento e le sue pause.
Nel giardino del Luxembourg la condizione non è altro che la curiosità. Del fotografo e del personaggio che fissa le forme della donna che sembra vestirsi (o svestirsi). Lo scultore voleva mostrare l’ammirazione o la violazione di un’intimità? La fotografia non può che fissare il motivo, oltretutto ad libitum, lasciando l’interpretazione agli specialisti dell’arte.
Ma usciamo dal Jardin du Luxembourg, e ci inoltriamo in una stradina che fronteggia il cancello d’entrata. Il mondo della rappresentazione, che non ha bisogno dell’orologio per i suoi riti, sorvola sul fatto che la notte si è sovrapposta al giorno.
La fotocamera non ha bisogno di comprendere. la Rue Servandoni che le si offre allo sguardo, una volta era nominata Fossoyeur. Dumas padre ne fece residenza del suo figlio prediletto: D’Artagnan. La fotocamera cerca ma non troverà riferimenti: chi sostituì il nome dell’architetto a quello del moschettiere non ebbe rispetto: la fotografia, come spesso a Parigi, non può che prendere atto.
Intanto la fotocamera procede, s’inoltra nel quartiere dell’Odeon, di lì finisce per esplorare la “Controscarpe”. Un cortile l’attrae, non può che scattare.
È una bella fotografia? È realizzata secondo le regole dell’estetica e della tecnica migliore?
In questo caso la percezione procede di pari passo con il guardare, le domande saranno rivolte agli addetti al lavoro: tecnico ed estetico.
Al più, la luce non incarna la sua funzione di svelare e permettere la visione, piuttosto accompagna il voyeur a soddisfare una sua domanda: cosa c’è dietro l’angolo? L’immagine che fa il verso a una Parigi d’antan non può che offrirsi alla fantasia.
L’esplorante fotografo non si ferma, scende nella sotterranea metropolitana, aspetta. Passerà un treno, forse con ruote di gomma.
Il treno si ferma, il fotografo sale in carrozza. Il suo occhio portatile guarda, scatta: non c’è malizia né giudizio nel suo agire. Si limita a registrare quel che Parigi permette. Ha bisogno solo di un minimo di luce per “incantare” lo spettatore per spingerlo a ispezionare quelle zone che gli si mostrano. La sfumatura in B&N è semplicemente la firma che appartiene al luogo in cui si è e in cui si agisce.
Quella luce che permane – per quanto tempo? – per costruire geometrie e volumi, rendendo in tal modo profonda l’immagine che forse aspirava alla scontatezza (fotografica) del bidimensionale. Quella profondità che il fotografo ritrova quando il treno è sparito nella notte del sottoterra, lasciandolo solo a organizzare i suoi intenti.
Lontano dal rumore sotterraneo, il lungosenna aspetta, e il fotografo aspetta a sua volta che ogni presenza umana sparisca. Solo il fiume, la strada e gli alberi accompagneranno il suo click …
… non si può parlare di fotografie, ma solo dell’operazione asetticamente compiuta di aggiungerne alcune ad altre già archiviate. Inconsapevole aspirazione quasi a negare ogni metalinguaggio dell’arte della rappresentazione.
Le immagini inusuali della città impongono una loro presenza/assenza. Un giovane barbone pranza tra gli umidi sentori della riva bagnata dalla Senna.
Il fotografo si concede un vecchio bistrot a Monmartre per analogo scopo.
Place Vendome, Boulevard des Italiens alle 2:00 della notte. Inutilmente il fotografo attende Dedé la Croix e Bebert d’Anvers. Non verranno. Personaggi di una Parigi desueta che si sottrarranno alla cerimonia dello scatto fotografico, tra letteratura e mondo, tra l’immaginazione e le esigenze della cronaca.
La realtà distorta, forse lì si incontravano Maurice Ronet e Jeanne Morot quando si organizzavano per salire al patibolo.