Autore di romanzi, racconti e sillogi di poesia: - Jacob Rohault I giorni di Venezia, edito da CTL Livorno e finalista per il Premio Internazionale Indipendente Cesare Pavese 2016. - L’ intruso nelle vecchie stanze (Pubblicato da Solfanelli editore nel 2017), già finalista per il Premio “Il giovane Holden” 2016 come inedito. - Con gli occhi di Arianna (Pubblicato da CTL Livorno 2018) - Il venditore di pensieri altrui (Segnalato dalla giuria del Premio Charles Bukowski e Pubblicato da Elison Publishing nel 2018) - Diari sospesi (Romanzo Inedito) - Libro di racconti: Viaggi prestati alla scrittura (inedito) - Racconto: Matilde, il viaggio, il cigno nero (Inserito nella raccolta “I sogni muoiono all’alba” edito da Tabula Fati 2018). - Silloge di poesie: Menzione di merito per il Premio Afrodite 2018 e pubblicazione nell’antologia dell’Editrice Montecovello. - Racconto: Prima dell’alba (inserito nella silloge Raccontami l’Abruzzo 2019 Tabula Fati Editore) - Racconto: Il pranzo di Bozsik (inedito) - Racconto: La vacanza (inedito) - Racconto: Virginia, Burley & Latakia (inedito) - Racconto: La via riscoperta (inedito) - Racconto: Eden in città (inedito) - Poesie e nuove poesie (inedito)

Stralcio del libro Jacob Rohault. I giorni di Venezia, di Paolo Massimo Rossi

INTRODUZIONE

Anno 1658: il filosofo e scienziato francese Jacob Rohault giunge a Venezia da Parigi per pubblicare in Italia il suo Tractatus Phisicus, già edito, alcuni anni prima, in Inghilterra. A Venezia, incontrerà stampatori e personaggi dell’aristocrazia locale interessati a conoscere la sua opera e il suo pensiero, in un clima ambiguo, che alterna formale rispetto e interesse per l’ospite al sospetto per il pensiero e la pratica scientifica di un intellettuale umanista di formazione galileiana e cartesiana. Ma a Venezia Jacob vivrà anche, suo malgrado, una storia d’amore anch’essa ambigua e contradditoria. Partendo da queste brevi note, l’opera potrebbe essere recepita come un romanzo di mero intrattenimento: in realtà è un’opera complessa, romanzo filosofico, storico e psicologico al tempo stesso.

E dunque l’amore: incaricato di educare alla nuova scienza la poco più che adolescente Fulvia, presto Jacob si trova a vivere con difficoltà il suo ruolo. Si parla di cuore, di sensi, di astri, ma Fulvia non è tanto interessata a scoprire le verità scientifiche relative a questi temi, quanto a trattarli alla luce della poesia, dell’arte, della musica, terreno sul quale anche Rohault, da buon umanista, si trova a suo agio.   Fulvia dichiara poi il suo amore per il suo maestro, ma questi è diviso fra l’attrazione che prova per la fanciulla, un’attrazione fisica ma anche intellettuale per l’intelligenza e la vivacità che lei manifesta, il suo ruolo di insegnante e, soprattutto, il legame ancora fortissimo che pure lo lega ancora alla moglie perduta.

(Stralcio)

“Monsieur, a volte penso che questa storia della ricerca esasperata di sé sia destinata a finire, mentre la vita, invece, va avanti. La vostra, come la mia!”

C’era una tensione insolita nelle parole di Fulvia, una voglia di trasgredire modi anche solo apparentemente virtuosi. Jacob resisteva impavido e raziocinante, era la sua ortodossia nel fabulare: “Gli avvenimenti che scandiscono la vita di ognuno di noi ne modificano lentamente le modalità con cui in essa ci addentriamo; la morte del Patrizio Contarini vi spinge a riflettere come, probabilmente, non avete mai fatto.”

“Non so se sia questo il mio stato d’animo, ascolto le vostre parole, ma esse mi appaiono via via più lontane, come adagiate in un limbo che non è più possibile esplorare. Per voi alcune Muse canteranno ancora; io le sento lontane da me. Sono qui davanti a voi e vi parlo nei modi che mi sono familiari, eppure sento che non c’è più musica nelle mie parole per voi, è come se altri l’avessero rapita…” Tacque improvvisamente mentre Jacob avvertiva un dolore acuto nel petto.

Fulvia riprese a parlare, come se non avesse avuto interlocutori: “Mi sembra di non aver portato a termine cose che avrei dovuto fare; ma è un elenco inutile. E poi … la lentezza di questa neve che cade a riempire ogni vuoto, vorrei vederla come qualcosa di salvifico, neve caduta per sopire le lacerazioni dell’anima, metafora di un tempo sospeso, in attesa che io possa tornare a parlare impudicamente. Chissà, forse in altro luogo, diverso da Venezia.”

“Mademoiselle Fulvia, io vi ascolto, ma voi sapete bene che non posso essere la vostra guida spirituale.”

“E cosa siete, allora?”

“Sapete bene qual è il mio compito.”

“Avrei voluto tanto di più da voi!”

Restò in attesa di una risposta che Jacob non pronunciò.

Diagnosticare un malessere; la risposta taciuta garantiva ancora scenari da gentiluomo.

“Ah! Monsieur, voi non avete mai conosciuto l’amore perché siete sordo alle passioni… Devo dirvi senza perifrasi che avreste dovuto trascinarmi a diventare la vostra amante?”

Gli argini furono improvvisamente spazzati via, Fulvia era come un’eroina proiettata al di là dell’offerta di sé. «Se mi aveste amata, sarei stata la vostra garanzia per un perfetto piacere.»

La saggezza dello studioso usciva sconfitta, disorientata da impreviste inquietudini.

“Mi avete rifiutata, agendo con ingenuità, con un inutile atteggiamento di rispetto e uno sciocco sentimentalismo degno di un adolescente. Direi che mi avete anche offesa.”

“Voi sapete bene cosa penso.”

C’era da adattarsi a un pavido chiarimento, a fronte di richieste tese a bruciare la superficie dell’anima per svelare cosa si nascondeva più in profondità: ekpyrosis oltraggiosa.

“Oh sì! Voi pensate alla filosofia e alla scienza, cioè alla vostra vanità, ma con me siete stato vile e ipocrita. Vi ho rovesciato addosso i sensi della mia passione e, per tutta risposta, voi mi avete spinto tra le braccia di altri amanti.”

“Vi prego, mademoiselle Fulvia…”

Una supplica che non avrebbe prodotto miracoli, solo fiacchi epiloghi, se anima e ragione restavano lontane senza parlarsi.

“Vi spaventa ascoltare da una donna parole che tanti uomini potrebbero, non dico pronunciare, ma neanche pensare? Ditemi, credete che io abbia un animo perverso?”

“Sapete bene che anch’io provo un sentimento d’amore per voi!”

“Voi non conoscete nulla di me, se non quella patina che convenienze ed educazione mi obbligano a mostrare. Ma sono parole inutili… o, piuttosto, soprusi di parole contaminate da una familiarità illusoria. Sapete che potrei usarle come simboli d’ironica provocazione? Ma anche per irretire, ingannare, umiliare qualsiasi amante, se lo giudicassi non alla mia altezza. Infine, dunque, perché parlarsi? Ecco, Monsieur Jacob, vedete bene che tutto continua a fluire, anche in assenza di suoni.”

Jacob continuava a tacere.

“Siete rimasto senza parole? Mai avreste pensato che anche a Venezia, dove ciò che è più oscuro rappresenta il massimo della trasparenza, si potesse parlare con tanta spudorata franchezza. E non fatevi ingannare dalla mia illustre zia, lei sa bene come sono, anche se mi spaccia per una fanciulla innocente nel mentre che divide con me il suo amante.”

“Vi chiedo il permesso di ritirarmi, Mademoiselle Fulvia.”

“Pensate di rinunciare al vostro ruolo di precettore?”

“Si, se voi rinunciate a quello di allieva.”

“Sapete bene, ormai mi conoscete, che io non so rinunciare a nulla.”

Fulvia si alzò; aveva gli occhi lucidi malgrado non avesse pianto.

La copertina è Venezia, dipinto su tela di Miriam Prato – rivisitazione di incisione del XV secolo, tratta dal volume Liber Chronicarum del 1493