Parole in libertà in memoria di Alda Merini
Di Nicola Vacca
Lo ricordo ancora quel terribile 1 novembre del 2009, quando appresi della morte di Alda Merini. La poetessa dei Navigli, l’amica che aveva sempre un verso per tutti, la donna che non ha mai rinunciato agli eccessi per fare della sua vita poesia, aveva per sempre lasciato questo mondo che non l’aveva trattata bene.
All’epoca vivevo a Roma e scrivevo per alcuni giornali. Il direttore di uno di questi subito mi chiamò e mi disse di scrivere un pezzo su Alda. Quelle sono state le ore più difficili della mia vita. Mi misi davanti al computer e la pagina è rimasta bianca. Passai l’intera notte a contare le lacrime e le parole non vennero. Nella testa solo i ricordi dei miei incontri con Alda nella sua casa milanese e altrove, ma nessuna parola (e questo per me è molto strano). Verso le prime ore del mattino invece dell’articolo venne fuori una poesia dedicata a Alda. Chiamai il direttore e dissi che il pezzo non ero riuscito a scriverlo perché emotivamente coinvolto non ero riuscito a essere lucido e distaccato. Potevo inviargli solo una poesia che in pochi versi raccontava tutto il mio amore e la devozione per Alda. Quella poesia fu pubblicata, qualche giorno dopo arrivò anche l’articolo. Eccola:
La pazza della porta accanto
Per Alda Merini
Usavi il telefono
per dirci che la poesia
non è fatta solo di versi,
è fatta di natura e di vita.
Componevi il numero
del tuo interlocutore prescelto
per donare a tutti il tuo delirio amoroso.
Così ogni giorno dalla tua casa
partivano le parole della poetessa folle
che nonostante il dolore
voleva dire al mondo intero
di essere stata una donna felice.
Adesso che tu non alzi più la cornetta
la bellezza dei tuoi versi
ferisce a morte i nostri cuori.
Dieci anni senza Alda e la sua poesia riceve ancora una notevole attenzione critica, numerosi sono anche i suoi detrattori che per partito preso e esibendo un atteggiamento snobistico la definiscono una poetessa banale e sopravvalutata.
Per Alda la poesia era un mondo genuino e lirico di semplicità che educa il cuore. Una donna diretta e schietta che non si nascondeva dietro le parole.
La vera Alda Merini si incontra oltre il luogo comune della follia manicomiale. La poesia della Merini, giorno per giorno, si costruisce nell’abbandono di momenti interpretati dall’immediatezza e dall’intuizione ( Pier Paolo Pasolini recensendo La presenza di Orfeo, il libro d’esordio della Merini pubblicato nel 1953, fu favorevolmente colpito dalla disarmante precocità della poetessa e dalla sua straordinaria sinonimia della sua vita con il dettato poetico). Nei suoi infatti, la vita che scorre attraverso l’amore e la cura diventa il campo d’azione nel quale cresce il filo poetico di una memoria che scorge non soltanto gli orizzonti del pensiero, ma scava nelle profondità del cuore per cantare lo spazio dell’anima.
La vera Alda Merini è questa: un fiume in piena d’immanenza che travolge la vita qui e ora. Le parole della poesia sono dadi con i quali lei quotidianamente si gioca d’azzardo tutto il contingente.
In tutta la sua opera si coglie, attraverso la riflessione estemporanea intorno al canto d’amore per la vita, uno stupore incantato di tenerezza ed emozionalità per il percorso interiore di un’esperienza della mente che sa agitare il vento della poesia con la forza del cuore.
La poetessa dei Navigli si dona alla parola con tutta se stessa. Con il suo corpo, con il suo volto, con i suoi occhi e con le sue mani parla al cuore dei lettori mostrando la passione viva di un’incendiaria che ha un solo desiderio: con la poesia colmare il divario esistente tra la realtà e il sogno.
La magia delle sue parole nasce per incanto dall’energia unica presente nelle sue mani, che fanno diventare poesia tutto ciò che toccano.
Leggendo le sue parole, questo miracolo si compie sempre. Insieme a esso si materializza anche l’ideale di una poesia pura di cui la Merini è rappresentante indiscussa.
Alda è ancora oggi, attraverso l’eredità della sua poesia, un’anima inquieta, una creatura abissale che non riesce a accettare le convenzioni, i sistemi e le regole.
Un’anima che si è donata incondizionatamente alla poesia e che in essa ha sempre trovato uno spiraglio di luce nelle crepe della sua esistenza.
«E allora il poeta deve parlare. Deve prendere questa materia incandescente che è la vita di tutti i giorni e farne oro colato. Ora la poesia dovrebbe essere un fenomeno un po’ più extraconiugale, diciamo un fenomeno collettivo. Per carità, non tutti hanno voglia, quando tornano dal lavoro, di leggersi i poeti, che Dio ce ne guardi. Però la poesia educa il cuore, la poesia fa la vita, riempie magari certe brutte lacune, alle volte anche la fame e la sete, il sonno. Magari anche la ferita di un grande amore, un amore che è finito, oppure un amore che potrebbe nascere».
Tutto il dolore che ha toccato con mano nel suo concedersi alla poesia è diventato forza, consapevolezza di entrare nella vita per assaporare tutti gli eccessi di realtà. «Le più belle poesie/si scrivono sopra le pietre/con ginocchi piagati/e le menti aguzzate dal mistero…». La lucidità che emerge da questi versi porta a concludere che nella Merini che la poesia è stata una luminosa questione capitale. Una musa che le ha permesso di trovare paradisi nell’inferno che ha vissuto.
Ha ragione Ambrogio Borsani quando scrive che la sua è stata una vita unica, inimitabile. La vita singolare di un’anima senza misura, un’anima posseduta dalla poesia e dalle sue parole di manicomio e di amore.