Seba
Di Flavio Prestifilippo
Era solo una musica, una delle tante che si ascoltano per le strade, nelle città, proveniente da vari esercizi commerciali, anche ambulanti. Lui, come tutti, non l’udiva neanche, anzi ne era infastidito. Quella mattina però, mentre si trovava soffocato nel traffico cittadino, sentì quelle poche note che erano riuscite a farsi largo, superando tutte le barriere. Mentre procedeva a passo d’uomo, al primo slargo deviò l’auto. Ora avanzava nella strada libera. Farò ancora in tempo, si disse. Non è così tardi, dai Seba, si ripeteva per farsi coraggio. L’ultimo incrocio. Rallentò ancora, posteggiò poi l’auto. Ecco la musica proveniva da lì, ma le note non erano più quelle, il luogo però si. La vecchia panchina c’era ancora, ma riverniciata di verde.
Si ritrovò seduto, come allora.
Un sabato sera, di tanti anni prima. Passavano i minuti, i ragazzi si tenevano per mano, ridevano insieme ad altri. Qualcuno si metteva la mano in tasca, per contare i soldi del biglietto. Le coppie col motorino facevano dondolare i caschi come un pendolo. Il loro futuro come in altalena, su e giù. Altri entravano con gli amici, senza ragazze, in cerca di avventura e di sballo. Gira tanta roba qui, era la frase più comune. Nella sera le sigarette accese roteavano come stelle cadenti. Seba osservava felice, seduto sul sedile col pacchetto nuovo di MS. Si era comprato anche una birra che sorseggiava alternandola a boccate di fumo. Ora entro, ora entro. Aveva portato i soldi della settimana che gli aveva dato il padre: quest’ultimo contento che si andasse a divertire. Era la più grande discoteca della città. Ci si arrivava attraverso una grande porta di ferro, poi si scendeva per delle scale. Da lì, come dal fondo di un pozzo, proveniva la musica. Seba lo sapeva perché una volta si era avvicinato. Il buttafuori nero lo aveva guardato incuriosito e poi lo aveva apostrofato: “ Tu non vuoi entrare?”. Il ragazzo non aveva risposto, ma quello gli lanciava, come un amo, un sorriso coi suoi denti bianchissimi. Seba, come appagato da quel contatto, era tornato a sedersi. Ogni tanto faceva dei giri, si mescolava ai vari gruppi, senza conoscere nessuno. Capitava che qualche compagno di liceo capitava che lo vedesse gironzolare, con la sigaretta accesa e la bottiglia di birra quasi vuota in mano. Invariabilmente l’indomani, durante l’ora di ricreazione, gli avrebbe chiesto davanti a tutti: “Eri davanti alla discoteca sabato sera? Bravo!”, ricevendo un sorriso in risposta.
Domenica, sarebbe stato come al solito allo stadio. Andava sempre in curva, non tanto per risparmiare, ma perché alcuni dei suoi compagni di classe erano lì. Lo salutavano, ma senza averlo mai invitato. Quando la sua squadra non giocava in casa, si recava al cinema, sua grande passione. La sera poi cercava di studiare un poco.
Quel sabato di fine aprile, complice una tenue primavera, Seba il biglietto lo comprò davvero. La cassiera gli chiese con indifferenza : “Un solo biglietto?”. Lui rispose pronto, mentre quella gli dava il resto: “Si ma i miei amici mi aspettano dentro!” . Ma nessuno lo ascoltava. La meraviglia fu tale nel vedere finalmente l’oggetto dei suoi sogni, che dimenticò per un bel po’ che era lì per ballare e tentare di fare amicizia. Se ne stette seduto in un angolo dell’ampia sala, vicino a due che fumavano e si baciavano. Infine, attratto dal ritmo della musica, si buttò nella mischia, osservando ballare gli altri e cercando di imitarli. Ogni tanto qualche ragazza gli sorrideva gentile. Lui ricambiava cercando poi di starle vicino. A metà serata utilizzò il biglietto d’ingresso per la consumazione.
Appollaiato sullo sgabello del bar, si guardava in giro finalmente soddisfatto. Da quella volta ritornò ogni sabato, divenendo ospite fisso del locale. Il personale lo salutava chiamandolo per nome. Uno di quei fine settimana, mentre lui aveva da poco smesso di ballare, vide alcuni ragazzi più grandi avvicinarsi e parlargli gentilmente. Quel ricordo provocò a Seba un spasmo allo stomaco, riportandolo al presente. Si ritrovò di nuovo seduto sulla sua panchina. Era una mattina di marzo e ancora la primavera non aveva fatto il suo ingresso. Guardava il grande portone di ferro,ormai chiuso , ma sempre lì a testimoniare il passato. Devo avvertire che oggi non potrò andare al lavoro, pensava, altrimenti si blocca tutto. Tanto domani è il giorno importante. Dopo una lunga telefonata, tornò ad osservare l’entrata della sua discoteca, ormai inesistente.
La musica continuava a diffondersi nella piazzetta. Proveniva da una roulotte trasformata in panineria. Alcuni ragazzi con lo zaino si affrettavano a fare le ordinazioni. La loro vista fu come un catalizzatore. Seba chiuse gli occhi e ripiombò nell’oscurità della sala, vicino alla pista da ballo, come se fosse reale. Una ragazza gli stava parlando. Con lei c’erano alcuni suoi amici, che però non sembravano prestare molta attenzione ai due. “Vuoi fumare? Come ti chiami?” chiese. ”No grazie, ho le mie sigarette. Mi chiamo Seba”. ”Non hai capito niente!” Disse la donna con una risata, tanto che gli altri vicino a lei si voltarono incuriositi. “Fumare erba, intendevo, spinello. Mai provato? Tranquillo, offre la ditta per stavolta.”
Seba non rifiutò. Prevalse la paura di ritrovarsi di nuovo solo. “ Ehi ragazzo”, disse uno lì vicino. “Mica vorrai fumarla qui? Mettiti in un angolo e aspira lentamente”. Questa scena si ripetè altre volte, sempre dentro il locale. Il gruppo in seguito cominciò a chiedergli soldi per ogni spinello. Ogni volta sempre di più. “Questa è roba speciale”, dicevano per giustificarsi. Seba non osava protestare. Anzi quello sballo gli piaceva ogni volta di più. A fine della serata, loro se ne andavano. Nel salutarlo gli promettevano che prima o dopo sarebbe uscito con loro. Vedrai che accadrà, si ripeteva. Lei mi piace assai, e penso pure io le piaccio. Dopo di che se tornava a casa, sempre più soddisfatto e felice. I suoi lo ignoravano e non gli chiedevano mai nulla.
Com’era prevedibile, un sabato, vedendolo seduto al solito posto nell’oscurità, gli dissero: “Oggi è il tuo giorno. Abbiamo polvere di prima scelta. Non ti preoccupare, ti insegneremo noi. “ La ragazza gli si avvicinò. “Seba stai per diventare grande, io e te non ci lasceremo mai. Resteremo sempre insieme, in tutti i sensi” concluse facendogli l’occhiolino. Quello che sembrava il capo, una volta fuori dal locale, lo strinse a sè e gli parlò: “Andrà tutto bene, ci siamo qua noi. Non ti lasceremo mai più solo. Inoltre non pagherai più nulla. L’unico piccolo favore che ti chiedo è di aiutarci a vendere l’erba e la polvere magica bianca, non solo in discoteca, ma anche a scuola. Siamo amici o no?” Lo salutò così con calorosa pacca sulle spalle.
La fame riportò Seba al presente, si era fatto tardi. Questi ultimi ricordi però non lo turbavano affatto, anzi gli venne un riso sardonico, che soffocò a stento. Decise di provare i panini che il gestore preparava. Il profumo gli pareva buono. Tornò a sedersi con l’immancabile birra in mano, e un pacchetto con due panini. Finito di mangiare, guardò l’ora e decise di tornare a casa. Loro mi aspettano si disse. Aprì il piccolo cancelletto di casa. Il giardino gli sembrò in ordine. Subito i suoi gatti gli vennero incontro. Sono affamati anche loro. E poi lei è incinta, si disse. Non si preoccupò di non vedere il suo caro vecchio Tobia. Il cane bassotto infatti era cosciente di essere il più forte e attendeva il suo turno. Più tardi era lì a godersi il silenzio di casa sua semi sdraiato sul divano. Lo ridestò lo squillo improvviso del cellulare, rimasto muto tutto il giorno. Era il suo sottoposto: “Pronto maresciallo, come sta? Come da sue disposizioni ho istruito gli uomini per la retata di domattina. Ci saranno anche i carabinieri. Speriamo di acciuffare non solo i piccoli spacciatori, ma anche qualche caporione, e di sequestrare qualche chilo di eroina. Passo a prenderla alle cinque. A domani!”
L’immagine di copertina è Panchina nella notte di Mario Piana, presa da artmajeur.com