Vivo a Catania, sono pediatra. Ho scritto molti racconti pubblicati in antologie. Uno in particolare, Il violinista, è in fase di stampa Così come una raccolta di miei racconti(19) è in fase di imminente pubblicazione. Sono arrivato finalista al concorso internazionale di poesia il Federiciano, con la poesia La spiaggetta.

Seba

Di Flavio Prestifilippo

 Era solo una musica, una delle tante che si ascoltano  per le strade, nelle città, proveniente da vari esercizi commerciali, anche ambulanti.  Lui, come tutti, non l’udiva neanche, anzi ne era infastidito.  Quella mattina però, mentre si trovava soffocato nel traffico cittadino, sentì quelle  poche note che erano riuscite a farsi largo, superando tutte le barriere.  Mentre  procedeva a passo d’uomo, al primo slargo deviò l’auto. Ora avanzava nella strada libera.  Farò ancora in  tempo, si disse. Non è così tardi, dai Seba, si ripeteva per farsi coraggio. L’ultimo incrocio. Rallentò ancora,  posteggiò poi  l’auto.  Ecco la musica proveniva da lì, ma le note non erano più quelle, il luogo  però si.  La vecchia panchina c’era ancora, ma  riverniciata di verde.                                                                                         

Si ritrovò seduto, come allora. 

 Un  sabato sera, di tanti anni prima. Passavano i minuti, i ragazzi si tenevano per mano,  ridevano insieme ad altri.  Qualcuno si metteva la mano in tasca, per contare i soldi del biglietto. Le coppie col motorino facevano dondolare i caschi come un pendolo. Il loro futuro come in altalena, su e giù.  Altri  entravano con gli amici, senza ragazze, in cerca di avventura e di sballo.  Gira tanta roba qui, era la frase più comune. Nella sera le sigarette accese roteavano come stelle cadenti.                                                                                                                                                         Seba osservava felice, seduto sul  sedile  col pacchetto nuovo di MS. Si era comprato anche una birra che sorseggiava alternandola a boccate di fumo.  Ora entro, ora entro. Aveva portato i soldi della settimana che gli aveva dato il padre: quest’ultimo  contento che si andasse a divertire.                                                                                                                          Era la più grande discoteca della città. Ci si arrivava attraverso una grande porta di ferro, poi si scendeva per delle scale. Da lì, come dal  fondo di un pozzo,  proveniva la musica.  Seba lo sapeva perché una volta  si era avvicinato. Il buttafuori  nero lo aveva guardato incuriosito e poi lo aveva apostrofato: “ Tu non vuoi entrare?”.   Il ragazzo non aveva risposto, ma quello gli lanciava,  come un amo, un sorriso coi suoi denti bianchissimi.                                                                                                                   Seba,  come appagato da quel contatto, era tornato a sedersi. Ogni tanto faceva dei giri, si mescolava ai vari gruppi, senza conoscere nessuno.  Capitava che qualche compagno di  liceo capitava che lo vedesse gironzolare,  con la sigaretta accesa e la bottiglia di birra quasi vuota in mano.  Invariabilmente l’indomani, durante l’ora di  ricreazione, gli avrebbe chiesto davanti a tutti: “Eri davanti alla discoteca sabato sera? Bravo!”, ricevendo un sorriso in risposta.                                            

Domenica, sarebbe stato come al solito allo stadio. Andava sempre in  curva, non tanto per risparmiare, ma perché alcuni dei suoi compagni di classe erano lì.  Lo salutavano, ma  senza averlo  mai invitato.   Quando la sua squadra non giocava in casa,  si recava al cinema, sua grande passione. La sera poi cercava di studiare un poco. 

 Quel sabato di fine aprile, complice una tenue primavera, Seba il biglietto lo comprò davvero.  La cassiera gli chiese con  indifferenza : “Un solo biglietto?”.   Lui rispose pronto, mentre quella gli dava il resto: “Si ma i miei amici mi aspettano dentro!” .  Ma nessuno lo  ascoltava. La  meraviglia fu tale nel vedere finalmente l’oggetto dei suoi sogni, che dimenticò per un bel po’  che era lì per ballare e tentare di fare amicizia. Se ne stette seduto in un angolo dell’ampia sala,  vicino a due che fumavano e si baciavano. Infine, attratto dal ritmo della musica, si buttò nella mischia, osservando ballare gli altri e cercando di imitarli.  Ogni tanto qualche ragazza gli sorrideva gentile. Lui ricambiava cercando poi di starle vicino.  A metà serata utilizzò il biglietto d’ingresso per la consumazione.                                                     

Appollaiato sullo sgabello del bar, si guardava in giro finalmente soddisfatto.  Da quella volta ritornò ogni  sabato, divenendo  ospite fisso del locale. Il personale  lo salutava  chiamandolo per nome.  Uno di quei fine settimana, mentre lui  aveva da poco smesso di ballare, vide  alcuni ragazzi  più grandi avvicinarsi e parlargli  gentilmente.  Quel  ricordo provocò a Seba un spasmo allo stomaco, riportandolo  al presente. Si ritrovò di nuovo  seduto sulla sua panchina.  Era una  mattina di marzo e  ancora la primavera non aveva fatto il suo ingresso. Guardava il grande portone di ferro,ormai  chiuso , ma sempre  lì a testimoniare il passato. Devo avvertire che oggi non potrò andare  al lavoro, pensava, altrimenti si blocca tutto. Tanto domani è il giorno importante.  Dopo una lunga telefonata, tornò ad osservare  l’entrata  della sua discoteca, ormai inesistente.            

La musica continuava a diffondersi nella piazzetta. Proveniva da una roulotte trasformata in panineria. Alcuni ragazzi con lo zaino si affrettavano a fare le ordinazioni.  La loro vista fu come un catalizzatore.  Seba chiuse gli occhi e ripiombò nell’oscurità della sala, vicino alla pista da ballo, come se fosse reale.                                                                                                                                             Una ragazza gli stava parlando. Con lei c’erano alcuni suoi amici, che però non sembravano prestare molta  attenzione ai due.  “Vuoi fumare? Come ti chiami?” chiese.  ”No grazie, ho le mie sigarette. Mi chiamo Seba”.  ”Non hai capito niente!” Disse la donna con una risata, tanto che gli altri vicino a lei si voltarono incuriositi. “Fumare erba, intendevo, spinello. Mai provato? Tranquillo, offre la ditta per stavolta.”                             

Seba non rifiutò. Prevalse la  paura di ritrovarsi di nuovo solo. “ Ehi ragazzo”, disse uno lì vicino. “Mica vorrai fumarla qui? Mettiti in un angolo e aspira lentamente”.  Questa scena si ripetè altre volte, sempre dentro il locale. Il gruppo in seguito cominciò a chiedergli soldi per ogni spinello. Ogni volta sempre di più. “Questa è roba speciale”, dicevano per giustificarsi.  Seba non osava protestare. Anzi quello sballo gli piaceva ogni volta di più. A fine della serata, loro se ne andavano. Nel salutarlo gli promettevano che prima o dopo sarebbe uscito  con loro.  Vedrai  che accadrà, si ripeteva. Lei mi piace assai, e penso pure io le piaccio.  Dopo di che se tornava a casa, sempre più soddisfatto e felice.  I suoi  lo ignoravano e  non gli chiedevano mai  nulla.

Com’era prevedibile, un sabato, vedendolo  seduto al solito posto nell’oscurità,  gli dissero: “Oggi è il tuo giorno. Abbiamo polvere di prima scelta. Non ti preoccupare, ti insegneremo noi. “  La ragazza gli si avvicinò. “Seba stai per diventare grande, io e te non ci lasceremo mai. Resteremo sempre insieme, in tutti i sensi” concluse facendogli l’occhiolino.  Quello che sembrava il capo, una volta fuori dal locale, lo strinse a sè e gli parlò: “Andrà tutto bene, ci siamo qua noi. Non ti lasceremo mai più solo. Inoltre non pagherai più nulla. L’unico piccolo favore che ti chiedo è di aiutarci a vendere l’erba e la polvere magica  bianca, non solo in discoteca, ma anche a scuola. Siamo amici o no?”   Lo salutò  così con calorosa pacca sulle spalle.

 La fame riportò Seba al presente, si era fatto tardi. Questi ultimi ricordi però  non lo turbavano affatto, anzi gli venne un riso sardonico, che soffocò a stento.  Decise di provare i panini che il gestore preparava. Il profumo gli pareva buono. Tornò a sedersi con l’immancabile birra in mano, e un pacchetto  con due panini.  Finito di mangiare, guardò l’ora e decise di tornare a casa. Loro mi aspettano si disse.  Aprì  il piccolo cancelletto di casa. Il giardino gli sembrò in ordine. Subito i suoi gatti gli vennero incontro. Sono affamati anche loro. E poi lei è incinta,  si disse.  Non si preoccupò di non vedere il suo caro vecchio Tobia.                                                                                                                                            Il cane bassotto infatti era cosciente  di essere il più forte e attendeva il suo turno.  Più tardi   era lì a godersi   il silenzio   di casa sua semi sdraiato sul divano. Lo ridestò   lo squillo improvviso  del cellulare, rimasto muto  tutto il giorno.  Era il suo sottoposto:  “Pronto maresciallo,  come sta? Come da sue disposizioni ho istruito gli uomini per la retata di domattina. Ci saranno anche i carabinieri.  Speriamo di acciuffare non solo i piccoli spacciatori, ma anche qualche caporione, e di sequestrare qualche chilo di eroina. Passo a prenderla alle cinque. A domani!”  

L’immagine di copertina è Panchina nella notte di Mario Piana, presa da artmajeur.com