Statale 106. La globalizzazione del crimine
Di Geraldine Meyer
Poco più di 100 chilometri, un nastro di asfalto tra il Mar Jonio e l’Aspromonte. Questa è la Statale 106 che, fisicamente, va da Reggio Calabria a Siderno ma che, simbolicamente, unisce questa porzione di Calabria al resto del mondo. Cento chilometri di strada da cui, diciamo così, si aprono tante deviazioni che fanno da “infrastruttura viaria” a un import export fatto di crimini e e connivenze.
Statale 106, viaggio sulle strade segrete della ‘ndrangheta è il titolo del bellissimo reportage di Antonio Talia ma anche filo conduttore della sua indagine. Un’indagine che corre lungo quella che viene chiamata “la strada della morte”, epiteto datole per i numerosi incidenti che vi avvengono ma che rimanda anche alla scia di morte e morti che ha in questi chilometri l’origine o l’epilogo.
Paesi dimessi, abusi edilizi, scempi ambientali sono “solo” i marker visibili di un sistema criminale organizzatissimo e agile, la ‘ndrangheta, che Talia ci racconta con precisione e chiarezza portandoci lungo quella strada ma anche in luoghi lontani, al di là degli oceani, in cui questa vera e propria industria. A partire dall’omicidio di Lodovico Ligato, lungo le tracce del riciclaggio a Hong Kong, tra le pieghe dei traffici dei narcos colombiani agli omicidi “di stato” in Slovacchia, l’ecstasy nel porto di Melbourne e le morti a Toronto, Talia ci conduce nel ventre molle e caldo del luogo da cui tutto parte e non da ora. Cento chilometri e cinquant’anni di crimini che, dai sequestri, sono arrivati al salto di qualità della mondializzazione di tentacoli che hanno nomi e cognomi precisi.
Pagine in cui la più rigorosa inchiesta giornalistica si intreccia a materiale che ha del metafisico, dell’antropologico verrebbe da dire se questo termine non fosse fin troppo abusato. Allora diciamo che Talia riesce a mettere in luce, oltre alla miriade di rapporti criminosi, di connivenze politiche e non solo, anche una sorta di “romanzo criminale” in cui emerge tutto intero l’arcaico della Calabria, con i vertici delle ‘ndrine che il loro annuale incontro lo organizzano nel cattolicissimo santuario della Madonna di Polsi con le statuine con il bambinello decapitato. Riti ancestrali che sembrano usciti da alcune delle pagine di de Martino.
Ciò che colpisce maggiormente di questo libro è la capacità di Talia di unire il rigore del giornalismo d’inchiesta alla narrazione quasi letteraria e all’amarezza soffusa per quella che è anche la sua terra. Una terra in cui e da cui si dipana un sistema, un vero e proprio stato parallelo in cui il confine tra legale e illegale non si riesce più a rintracciare tante sono le infiltrazioni dell’uno nell’altro e viceversa. Ciò che ne emerge è la ‘ndrangheta con la sua capacità di “evolversi” dai sequestri alla finanza, dando vita a quello che, con precisione di termini e di senso, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, definisce il capitalismo del crimine.
Ogni capitolo di questo Statale 106 ha il nome di un chilometro di questa strada, con nomi che, in un mondo perfetto, dovrebbero evocarci bellezze e risonanze della Magna Grecia, della bellezza: Brancaleone Marina, Africo Nuovo, Bovalino Bova Marina sono invece le tappe di un viaggio insanguinato e spolverato di cocaina, di soldi e di proiettili sparati con lucida precisione, sordi a tutto ciò che non sia il potere, la ricchezza e il controllo. A qualunque costo.
Reportage, inchiesta
Minimum Fax
2019
312