Venezia siamo stati noi, di Toni Jop
Di Anita Mancia
“… Toni Jop insegna che Venezia è suoni, voci, grida, mormorii, e poi ancora voci, mentre continua il chiacchiericcio dell’acqua. E sai che, di colpo, ci sarà la voce potente dell’altro che prende possesso del suo ruolo.” Dalla prefazione di Furio Colombo.
“Go caminao para tera: altrove è ovvio che si cammini per terra, ma solo in un luogo del mondo può essere opportuno precisare di aver fatto dei passi a terra, ed è quello in cui si può procedere per chilometri – senza che questo sia un evento eccezionale – con le caviglie immerse nell’acqua e nel fango, mentre con lo sguardo puoi seguire in lontananza i profili di San Marco e di San Francesco della Vigna, ed è la laguna di Venezia”. Toni Jop. Venezia siamo stati noi, si legge alle pagine 98-99.
Tanto Furio Colombo, quanto Toni Jop nella citazione dell’antichissimo canto lagunare “E mi me ne so ‘ndao” scoperto da Luisa Ronchini, ricercatrice musicale, mettono in evidenza l’unicità di Venezia: l’essere nata come complesso di isole fuori dalla terraferma, e l’essere sostanza di suoni, voce e canto, a differenza dei territori dove abbondano i rumori delle macchine e dei motori. Ma c’è altro da dire. Infatti certo Toni è sensibilissimo alle voci e alla musica, all’ascolto degli altri che per lui è fondamentale, ma è vero anche che questa sensibilità è uno dei tratti distintivi del mondo mediterraneo, di cui la cultura ebraica ha avuto tanta parte spesso misconosciuta (come non pensare, solo per esempio, alle Voci di Marrakesh di Elias Canetti ed alla bellezza nascosta nei canti sefarditi dal medioevo in poi?).
Toni ama la musica contemporanea oltre che la tradizione ed io benchè sia ignorante di quella – mi fermo a Bach, Vivaldi e Tartini – cercherò di dare conto di questa sensibilità nel corso di questa disamina del libro su Venezia. Il libro su Venezia contiene storie e si basa su un’idea di storia democratica (il lettore noterà la frequenza di questo aggettivo nel libro e ne scoprirà la valenza) e popolare, incardinata nell’azione del Partito Comunista Italiano, di cui Toni è stato un cronista di lungo corso come ama definirsi. Scrive quindi: “Sulla barricata su cui si posizionava anche il Pci c’era più intensità di vita, più dignità, più voglia di capire e condividere, fondamentalmente più gioia, nonostante lutti, aggressioni, delusioni, sconfitte. Il Pci, e il movimento operaio in generale, aveva dato senso a vite che altrimenti le dure leggi di sistema avrebbero schiacciato nell’irrilevanza, quando non nei reparti di lungodegenza, nei manicomi, nei ricoveri per marginali, sempre e comunque in un’ordinata semi-coscienza”.
Il Pci a Venezia avrebbe dunque incarnato quella gioia di vivere che è cifra di quella cultura di sinistra certamente comunista italiana a cui Toni appartiene. Il libro si struttura come una serie di medaglioni-ricordi di vita culturale democratica e popolare centrata su intellettuali e gente del popolo. Molti dei personaggi- ma non tutti – sono parte di quelle vite a cui solo la sinistra del tempo, degli anni settanta e ottanta inizio novanta, avrebbe dato un senso. Così molte sono le voci. Per esempio quella di Bobo, che dà occasione a Toni di spiegare l’origine e il significato, la pronuncia perfino, e l’uso della parola -intercalare -veneziana “tesboro”, che potrebbe avvicinarsi al nostro accidenti, “tutto il potere ai bacari”, che ispira uno dei capitoli più belli del libro, alla periferia di una grande casa veneziana, dove il libro si fa poesia intima.
Certamente si potrebbe obiettare all’autore che, essendo stata la politica della sinistra sconfitta già dopo gli anni ottanta, non esamini a sufficienza le cause di essa. In realtà sarebbe ingiusto. Infatti nel capitolo su “i Momo, mia nonna, i Cacciari e il Mose” alle pagine 62-63 Toni si sofferma sulle cause della sconfitta della sinistra, posteriori al rifiuto di Cacciari di accettare il piano del Mose, che si sarebbe rivelato fallimentare e molto costoso, ma che il governo di centro-sinistra avrebbe invece accettato di far andare avanti.
Non si può in una recensione esaminare il libro nel dettaglio. Mi limiterò per tanto a mettere in evidenza due aspetti: quello musicale e quello più profondamente poetico, contenuto nel capitolo “Alla periferia di una grande casa veneziana”. Quanto alla musica, indirizzerei il lettore al capitolo IX “Luisa Gualtiero, Alberto” pp 93-99, specialmente le pagine dedicate alla scoperta della traccia di un antichissimo canto lagunare rimasto sepolto per secoli, portata alla luce da Luisa Ronchini, ricercatrice musicale. Il brano non è niente altro che “un viaggio, niente altro che il viaggio di un rematore che sulla sua barca, con a bordo delle furgasse (focacce) di Malghera, attraversa la laguna e incrocia acque, terre ed anche un altro rematore, uno di Burano, che aveva un bel cestello e glielo ha mostrato. Testo e armonie scivolano lungo una pendenza temporale che è esattamente quella imposta dal ritmo della vogata al movimento dei muscoli delle braccia che governano il remo, come di quelli delle gambe, mentre il baricentro si sposta pendolarmente da avanti e indietro e viceversa per dare la forza necessaria al remo che morde l’acqua” .
L’autore è nel suo elemento: voce e corporeità acquorea, un momento alto, davvero alto del libro. Altro bel capitolo è “The spleen e altre storie”. The spleen è un gruppo musicale che comprende Toni, Fabio, Sandro, Chicco Carraro e Mario che si riunivano nella casa dei Moro. Il gruppo eseguiva musica dai palchi di tutta la sinistra mescolando rock beat blues country dai Beatles compresa la tradizione musicale veneziana antica e recente, ma non eseguiva il reggae. Quello che Toni dice sul reggae per rapporto a Venezia è importante: “Il reggae sta nella venezianità come, forse, nessun altro tempo, perchè è periodo d’acqua, gommoso e fluido insieme”. La descrizione di questo ritmo continua dettagliata a pagina 166, dove l’autore spiega come questa musica abbia a che fare con l’andamento della voga.
Ed ora le pagine di poesia intima che a me paiono tra i vertici (dico “tra” perchè anche quelle sul clandestino classico Lilli sono pagine picare di altissimo livello dedicate a Lilli) del libro. Si tratta del capitolo “Alla periferia di una grande casa veneziana”. Toni era andato ad abitare in una casa vicino al Teatro Goldoni. Il suo fantasticare era rivolto come quello di sua sorella Ileana, a delle finestre che erano come un occhio cieco, mezzo piano più alto delle sue finestre. Scrive Toni: “Fu così che da quelle finestre un giorno si allargò, ma sommesso, il rumore di un pianto. Tristissimo, ma era un segno di vita niente medianico. Poi con la bella stagione, dalle vetrate finalmente aperte fiorirono anche frammenti di parole, di discorsi, di richiami, di confessioni”. Toni comprende subito che si tratta di un gruppo umano tenero, delicato e molto sensibile. Una comunità di persone che si volevano bene. Lasciamo parlare l’autore: “Non c’era una sola persona al buio di quella stanza, lo capii che da lì muoveva il respiro di una piccola comunità di anime che si volevano bene, lo si intuiva dal calore delle voci, dalla morbidezza degli accenti che uno rivolgeva all’altro”.
Interessante come l’autore voglia parlare alle anime che abitano quell’occhio cieco. E lo fa con il grido, cui viene data risposta. Comincia così un rapporto di dialogo, non corporeo in senso ampio, ma radiofonico, metonimia che racchiude la specificità del rapporto. Toni arriva a conoscere i due fratelli e la sorella del nucleo solo attraverso le parole e i loro registri. Vorrebbe conoscere personalmente la sorella, ma questa si vergogna di farsi vedere perchè troppo grassa. Il fuori, dentro questa relazione, non è ammesso. Toni conclude così questo capitolo:”Difficile sostenere che non ci sia stata poesia in questa pagina di vita disperatamente radiofonica in cui i muri parlano al posto degli umani e Venezia impasta voci e rumori mentre fa sfumare la materia”. Difficile aggiungere altro ad un commento così bello, pittorico ed elevato.
Resta il fatto che la città attualmente è in crisi per la diminuzione di persone che la abitano, per l’eccesso di turismo che la sfrutta come fosse un museo, per gli effetti negativi del Mose. Tutto ciò distrugge Venezia e le sue splendide voci. Mentre l’autore ci ha regalato un bellissimo libro, non ho paura ad usare il superlativo, che invoglia il lettore attento ed umano ad aggiungere i suoi ricordi e le sue memorie di vita a quelle lette qui. Segno che il libro è materia vivente che può crescere e dialogare e far musica con altre realtà. Grazie a Toni. Se l’edizione venisse replicata mi piacerebbe una pianta topografica dei luoghi menzionati per avere un’idea della loro estensione. Per entrare e muoversi con cognizione a Venezia.
Saggistica
Città del Sole Edizioni
2019
256 p, brossura