Di Andrea Gruccia
Icari tra gli acari
In certe mattine l’entusiasmo
è come delfini che corrono il mare nello stomaco
torna in superficie qualcosa di profondo
ma il profondo delle persone è così relativo.
Ci sono vastità in pochi centimetri di pelle
in certe mattine non siamo solo organi
ci sentiamo per un attimo in linea con il vento,
in un discorso più ampio.
La luce del sole è uguale e i nostri anni passano
come formiche a cui hanno distrutto il nido
siamo tutti Icari tra gli acari
abbiamo perduto le ali nell’adolescenza
cerchiamo di riaverle nell’amore
sapendo che non esistono ali che ci salveranno
cadremo, come tutti;
mentre le ragazze scacciano le mosche dai loro aperitivi.
Hai una menopausa di pianto
i tuoi sentimenti sono come rifiuti vivi
da gettare nel contenitore degli assorbenti
come un dolore immenso che non si è mai detto.
Forse sapremo un giorno
Forse sapremo un giorno
di essere stati uno spiraglio, per qualcuno
un desiderio accudito di nascosto,
quando ci nascondevamo dai giorni
e forse siamo ancora la chiave o la serratura
per qualche felicità che ci è ignota,
è così difficile la felicità,
accontentarsi di essere semplici;
nessuno fa del male nel vegetare
nessuno ama nel non rischiare.
Ricordo vagamente
Ricordo vagamente il gusto
delle croste sulla pelle,
me le leccavo per istinto
a volte dalla strada del bosco
correva obliqua una lepre,
nel silenzio del gufo che vola come la neve.
Ricordo che convincevo amici
a nasconderci per giochi lussuriosi
dentro a grandi tubi di cemento
come i rospi nel silenzio.
Ricordo vagamente il tuo culo fondoschiena
appena hai aperto la porta
e il rifiuto è diventato perpetuo.
Avrei tenuto il meglio di te
cercando di difendere la ciliegina sulla torta
ma ho leccato anche il mio fondo.
Ricordo vagamente quello che ero
il sapore del veleno e quello del sacro
La felicità è un bruco che scava
ed è quel momentaneo vuoto
oltre la porta di carne e pelle;
ciò é successo, ne ho le prove.
è stato come un campo nomade
il migrare da un pensiero all’altro,
che tu tenevi in piedi
con una magia di voce
e un passo che si siede
e si avvicina alla confidenza.
Vicino all’indecenza degli anni,
che come vichinghi eterni
passano e stuprano.
E inermi lasciamo al popolo delle ombre
i nostri ricordi, in cambio di affanni.
Le dottoresse del pronto sono
fate,
io mi sento tra legno e carne
un po’ vegeto un po’ sono sangue
così, con dolcezza mi spiegano,
mi rimettono nella favola,
dicono che l’angoscia è solo vento.
Guardano il tracciato del cuore
leggono le onde del mio corpo
se è notte e non hanno fretta
ti chiedono che lavoro fai
loro hanno le parole giuste;
spesso sono giovani e sembrano sapere,
può arrivare di tutto
sono lì alla riva del mare
ad aspettare balene spiaggiate
tartarughe calcificate,
con delicatezza ordinano prelievi
sollievi, e poi se va bene si ritorna a casa.
Ti penso come un flipper
Ti penso come un flipper
piena di buche
ed io pallina piena e pesante
cado nel tuo buio caldo
e poi risalgo cercando di stare in bilico.
Ti aspetto come radice che aspetta acqua
l’amore è la mano di un contadino
che sceglie le piante da accoppiare
e fa un buco con un dito per stringerle
alla terra.
So come si fondono due alberi,
crescendo nella linfa sotto la pelle della corteccia,
così vorrei
che scorressero le tue parole sotto la pelle
nella corsia privilegiata che porta ai tuoi occhi.
Pezzi di Novecento
C’era una barca nel laghetto verde di lenticchie d’acqua,
c’erano pezzi di Novecento scordati da Google Maps
prati con grandi peri;
c’era un castello non ancora rimaneggiato a catering.
Mani di vecchi giardinieri e siepi ferme da secoli,
famiglie di fratelli scapoli mezzi malati e mezzi impazziti,
sogni nascosti come carpe nei fondali dei ricordi.
Trovo queste persone tutte morte,
mi parlano
ancora e si devono operare,
ridono, mi offrono qualcosa;
avevo il lascia passare della gioventù
mentre mio padre scioglieva i cristalli di verderame nell’acqua
per battezzare l’orto, le cime delle viti e occhi fioriti
io correvo, giovani ossa, a cercare nude pose di carta nei fossi.
Le case con le stesse mura,
non sono più le stesse
il restyling
ha voci che non conosco.
Le cose vecchie erano già vecchie
sei tradito dal tempo
sei una cimice tra meccanismi
che invecchiano ciò che ami
Mia madre ha l’alluce valgo
Mia madre ha l’alluce valgo
le dita dei piedi saldate in un ammasso di carne;
le fanno male, faccio finta di non vedere.
Non riesce a camminare senza un treppiede
che avevo comprato in un mercatino dell’usato.
Mia madre che corre quando la chiamo
e si fa silenzio nel suo silenzio,
mia madre complice di una sigaretta
fumata fuori da un funerale,
mia madre che sorride come una bambina
che ha chiesto di andare al mare
ma che poi non ne parla più
per il suo modo di fare,
che pulisce la casa dove può arrivare
e io non arrivo a un centimetro dalla sua
semplicità,
se qualcuno la chiamasse vecchia potrei ucciderlo.
La adoro per il suo non capire
per metterci le lacrime al posto delle parole.
E’ rimasta la stessa ragazza timida di un tempo
ha dato tutte le sue forze a pulire le case
dei borghesi, il culo di signore,
avrebbe continuato come un soldato;
continua a ricordarmi le
pastiglie
a spaccarmele in tre parti
a muoversi dentro un cucinino
che ha le stesse piastrelle di cinquant’anni fa.