Come una barca sul cemento, l’ultimo libro di Roberto Saporito, edito da Arkadia, ci mette, fin dal titolo, davanti a qualcosa che non è al suo posto, qualcosa che ci rimanda ad un disagio spaziale, ad un inciampo se non addirittura a un naufragio. Tutti elementi che ritroviamo nel protagonista di questo libro, un uomo che, per inseguire il tempo perduto, nel tempo si perde, evitandolo. Trovandosi così in una sorta di cortocircuito.
In queste pagine, scritte alla seconda persona singolare, a metà strada quasi tra una voce narrante onnisciente e una specularità che vuole e cerca l’immedesimazione di chi legge, Roberto Saporito ci racconta la storia di un uomo, ex professore, costretto a lasciare il suo lavoro a Roma per “rifugiarsi” in un piccolo paese della Toscana in cui si ritrova a vivere su una barca all’interno di un deposito di cui è il custode. E anche qui la scelta narrativa di Saporito mette in luce un uomo messo dalla vita in una posizione laterale, se così possiamo dire, non un uomo che la barca la porta per mare, guidandola, ma che la barca la custodisce, se ne fa custodire, su il cemento, su un elemento in cui la barca perde la sua natura.
Il protagonista, malato di sesso e di passato, cerca, nel vuoto lasciato nella sua vita dalla perdita del lavoro, le donne con cui avrebbe potuto avere una storia ma con le quali, per incapacità o per distrazione, non ha saputo percorrere un tratto di strada. L’unico modo, per lui, di recuperare, sembra essere quello di voltarsi indietro e invischiarsi in un fuori tempo. Per riempire un presente immobile e non pensare a un futuro aperto (come il mare, figura sempre presente nel romanzo) l’uomo si rifugia in una caccia al passato, al sesso come paura della morte, alle donne che non ha avuto, come conferma del suo esserci.
In uno stile minimalista, essenziale, condensato e quasi chirurgico, Saporito ci racconta la storia di un uomo che sembra aver lasciato correre la vita accanto a sé, accettando che le cose accadessero, trasformandosi quasi in una creatura nata per nutrirsi di ciò che gli altri hanno scartato. Un defilato, silenzioso marinaio che, pur di evitare le tempeste, rinuncia anche ad essere davvero un marinaio. La sua malattia, il suo nucleo centrale sembrano essere le donne ma non certo come approdo quanto, semmai, una tappa tanto obbligata quanto provvisoria.
E come tutti gli esseri umani che pensano di poter ingaggiare una lotta con il tempo, invece di seguirne l’inevitabile flusso, il protagonista si troverà in un infernale uroboro, destinato a ripercorrere le stesse impronte e le stesse tracce. Libero prigioniero di sé stesso.
Roberto Saporito, in uno stile che ricorda molto quegli scrittori americani da lui amati, come Bret Easton Ellis o Jay McInerney, ci porta a guardare in faccia (o allo specchio) un uomo paralizzato dalla paura di vivere al punto tale da non riuscire più a seguire un percorso di progressione e cambiamento preferendo girare su sé stesso. In poche, precise e taglienti pennellate, Saporito disegna e crea un uomo che è personaggio suo malgrado, che spreca tempo per non perderlo, che è invecchiato senza crescere. Il minimalismo di Roberto Saporito, anche qui, aggiunge togliendo, disegnando per sottrazione. Regalandoci la figura di un uomo che, al contrario, vuole accumulare ciò che accumulare non si può, giorni passati e corpi di donna.
SideKar
Narrativa
Arkadia
2019
110