Laureata in lingue e letterature occidentali e in lingue orientali, urdu e arabo. Laurea anche in filosofia, pedagogia clinica. E' antropologa trasformazionale e psico terapeuta

Introduzione alla fiaba Anubi – il dio sciacallo

di Maria Rosaria D’Acierno

In questa fiaba si cerca far capire ai bambini di avere rispetto per la natura, per gli anziani, qui rappresentati dall’albero secolare, e per tutto ciò che ci circonda. Inoltre, si vuole mettere in evidenza che i piccoli non devono mai evadere la sorveglianza dei genitori, i quali sono sempre pronti a proteggerli. Ma c’è ancora un altro messaggio altrettanto importante, vale a dire quello riferito al fatto che spesso indossiamo una maschera che ci impedisce di farci agire spontaneamente, solo perché siamo condizionati da stereotipi che intralciano i nostri sentimenti; stereotipi che ci costruiscono addosso una corazza che ispessisce anche il nostro cuore.

Lo sciacallo, attore primo di questo racconto, dal suo aspetto tanto orripilante, è stato associato fin dai tempi antichi alla cattiveria, ai demoni, senza tener conto che anche lui è un animale come tutti gli altri, con le stesse esigenze di sopravvivenza. Dagli antichi egizi, Anubi, il dio locale di Cinopoli, era raffigurato con il corpo da uomo e la testa da sciacallo, ed era colui che presiedeva alla mummificazione, quindi era connesso alla morte, la nostra paura dell’ignoto. Come tutti gli dei tipici dei popoli pagani, anche la residenza di Anubi era su di un monte, (1) che non stava per un luogo isolato, ma che permetteva al dio di essere molto vicino al popolo che lo adorava, e, che, quindi, ne riceveva la protezione. D’altra parte, anche quando il pensiero umano si è evoluto, e l’uomo è riuscito a distinguere le cose dalle persone, e queste dagli animali, passando dal politeismo al monoteismo, i colli, le grotte e i monti sono sempre rimasti i luoghi d’incontro tra Dio e i suoi profeti. In tempi in cui le religioni ancora non avevano raggiunto la maturità di un rapporto con un solo dio, e i popoli pagani affidavano la loro vita ad un pantheon di vari dei, comunque, avevano chiara la distinzione tra dei e demoni. I primi erano al loro fianco durante le guerre e li proteggevano anche nella quotidianità della loro vita, inviando piogge benefiche per l’agricoltura, alimentando il loro gregge, tenendoli lontani dalle sventure, dalle malattie, e dai demoni. Questi ultimi, i quali sono la causa di tutti i mali, abitano in luoghi isolati e nefasti (jinn).

Nel Vecchio Testamento si dice che i semiti del nord avevano anche loro demoni pelosi, mostri notturni che vivevano in luoghi desolati in contatto con sciacalli, ostriche ed altri animali che evitavano i contatti con gli esseri umani. “Nel deserto. Attraversano un deserto inospitale, fissano le tende in terreni cattivi, nel deserto dovesi vaga e ci si perde, dove non c’è vita, luogo della solitudine, luogo del terrore, dove i demoni urlano.” (2) Gli angeli, al contrario, sono i guardiani benevoli dell’umanità, e, anche ai tempi del politeismo erano considerati protettori (weli), i quali si insediavano in vari oggetti ritenuti poi sacri, come pietre, caverne, alberi, sorgenti d’acqua ecc. Abbiamo, quindi, il dio sole, il dio delle nubi (El, Elohim, Shemesh, Gad, Asher), ecc.ecc. Il paganesimo serviva a dare regole di vita, a controllare le istituzioni del clan, e non era basato su un vero credo, ma soprattutto su riti propiziatori. La religione serviva a regolarizzare la vita sociale di una comunità, e gli dei non erano onnipotenti e onnipresenti, e ciascuna tribù aveva il proprio dio protettore; dio che adorava attraverso una serie di riti e sacrifici; dio che, pur avendo sembianze umane e poteri limitati, possedeva qualcosa di sovrannaturale, in modo da poter essere il protettore dei poveri, dei deboli, degli orfani, delle vedove, in altre parole, di tutti coloro che si sentivano abbandonati.

(1) In tutte le religioni sia politeiste che monoteiste l’incontro con Dio avviene su di un monte o su di un colle: Mosé (Sinai- Antico Testamento), Gesù (trasfigurazione –Tabor), Muhammad (Arcangelo Gabriele grotta monte Hira – Corano26:192-95; 2: 9).

(2 ) Piro Francesco, La tenda del deserto, Amazon.


Il paganesimo nasce quando l’uomo, ancora non in grado di percepire le sottili distinzioni che diversificano gli uomini dalle cose, e queste dai fenomeni della natura e dagli dei, si affida ad un essere superiore, comunque, non molto diverso da lui, perché anche qui non era chiara la differenza tra dei e uomini. Il contatto tra dei e uomini era stabilito e mantenuto attraverso riti propiziatori, tra i quali spicca quello del sangue, che veniva spruzzato sugli oggetti sacri. Al di sotto c’erano i semi-dei e ancora più giù c’erano le forze demoniache; la differenza tra le forze del bene e quelle male stava nella relazione che tra di esse intercorreva con l’umanità. Anche i demoni non erano solo spirito, anch’essi avevano una forma materiale ed erano esseri corporei, dotati per lo più di forme animali. Infatti, quando un jinn veniva ucciso ne rimaneva la carcassa. I demoni potevano comparire e scomparire, assumere forme diverse e infliggere condanne. La relazione tra un dio e la natura che lo circonda sta nel contatto che il dio stabilisce con certi luoghi o cose, per cui, poi, queste diventano sacre, e permettono la costruzione di luoghi di culto. Lo stesso concetto lo ritroviamo, quando il monoteismo erige i propri santuari dove sono avvenute delle apparizioni divine. In questa fiaba lo sciacallo viene rivalutato, per dimostrare due fatti importanti: 1) gli stereotipi cancellano la vera realtà dei singoli ed annebbiano il nostro giudizio, facendoci generalizzare su caratteristiche particolari, 2) la trasformazione può attraversare anche un soggetto malefico e cattivo, tramutandolo in una persona diversa e più responsabile. Inoltre, anche in questa fiaba seguo il modello dettatomi dalle fiabe contenute nel Panchatantra scritto in sanscrito da VIøNU ŠARMA (about AD 570), allo scopo di risvegliare le menti dei giovani seguendo i dettami suggeriti dal n†ti (la saggezza della vita quotidiana). Il mondo degli animali offre più di altri l’occasione per perseguire questo intento. Qui lo sciacallo, forse il più orripilante degli animali, è usato come metafora per indicare colui che è diverso, e che, quindi, suscita un sentimento di repulsione solo perché non lo conosciamo, e ci facciamo suggestionare dalla sua apparenza sgradevole. Tutti vorremo restare sempre abbracciati ad un bel principe o ad una bella principessa, ma non è così semplice, ed il bello, che non sempre corrisponde al buono, per essere veramente apprezzato e assaporato deve risultare come il premio di un più duro e faticoso cammino.

Il dio Anubi

Anubi il dio sciacallo

In un bosco, in un giorno di estate molto caldo ed afoso, si erano radunati tanti bambini e bambine per una gita che li avrebbe allontanati dalla calura della città. I genitori erano con loro e organizzavano giochi per farli divertire tutti insieme. Avevano portato delle merende molto appetitose e delle bevande da distribuire durante tutta la giornata. Il bosco era fitto di alberi molto alti e secolari, che incutevano rispetto sia per la loro età e sia perché proteggevano i piccoli dall’arsura estiva con i loro rami pieni di foglie larghe e profumate. Sembravano fatti apposta per far giocare tutti quei bambini, i quali si potevano così nascondere dietro o addirittura all’interno dell’albero che nella sua pancia immensa sembrava poter accogliere anche più bambini. Le radici di questi alberi antichi formavano degli intrecci sul terreno, confondendosi con esso fino a disegnare delle forme che la fantasia dei bambini attribuiva a delle case, degli animali, degli uomini, dei vasi ecc. ecc. Un giorno, tutti i bambini, i quali erano mascherati chi da principe, chi da principessa, chi da chiocciolina, chi da canguro, chi da cammello, chi da cerbiatto, chi da giraffa, chi da gufetta, chi da pavone ed erano tutti bellissimi, rimasero come incantati vicino ad un albero, perché questo li aveva colpiti per il profumo che emanava, per i frutti avvinghiati sul suo tronco, e per le sue variopinte foglie che li proteggevano dal caldo a causa dell’ombra fresca che si rifletteva a terra e tutt’intorno. Entravano ed uscivano dalla sua pancia e saltavano sulle sue radici incastrate nel terreno. Ad un certo punto, mentre erano tutti intenti a scavare intorno alle radici, solo per scoprire quanto fossero profonde, incuranti del danno che stavano provocando all’albero madre, rompendo i piccoli germogli che stavano sbocciando su alcune radici fresche che avevano fatto nascere dei piccolissimi rami, all’improvviso dalla pancia del tronco sbucò un bruttissimo, ma piccolo piccolo sciacallo, tutto dolorante e quasi piegato in due. I bambini spaventati scapparono via a gambe levate spargendosi nel bosco, ognuno in un posto diverso, disperdendosi tra di loro e allontanandosi dai genitori. Ma lo sciacallo, nonostante sembrasse molto debole, per evitare che i bambini si perdessero, cercò di rincorrerli finché non riuscì ad avvicinarsi ad una bambina, mascherata da principessina. L’urlo della bambina attirò tutti gli altri e li fece di nuovo riunire, evitando così di smarrirsi in quell’immenso bosco. Il brutto e piccolo sciacallo li aveva salvati da un sicuro smarrimento, che avrebbe avute conseguenze angoscianti, poiché si faceva scuro avviandosi il giorno verso l’imbrunire. Riunendo tutte le sue forze il debole sciacallo alzò una zampa come per ringraziare i bambini che si erano radunati intorno a lui, e così cominciò a parlare: ‘Non dovete spaventarvi per il mio brutto aspetto: Lo so, incuto paura ma non sono cattivo, anche io come voi mi sono rifugiato in questo bosco per poter respirare un po’ di aria fresca, e per poter mangiare qualcosa, ma non avendo trovato niente da mettere in bocca, mi sono nascosto nella pancia di questo albero secolare e ne ho fatto la mia casa. Mentre ero lì dentro, ho sentito le radici dell’albero che piangevano (3) quando voi le rompevate per scavare intorno. Allora sono uscito per avvisarvi di non rovinarle, perché le radici sono la forza dell’albero, e lo fanno rinnovare di anno in anno rendendolo sempre vivo in modo da far nascere nuovi rami e nuove foglie che ci proteggeranno dal caldo, e abbelliranno il bosco. Voi siete fuggiti spaventati dalla mia bruttezza, allora ho raccolto tutte le mie forze per seguirvi, poiché ho avuto paura che vi sareste perduti tutti nel bosco, il quale, anche se bello, comunque, può presentare seri pericoli. Ora sono contento che ho salvato sia l’albero che voi, ma vi chiedo una ultima cosa. Non vi fate ingannare dal mio aspetto sgradevole che incute terrore, io sono buono quanto voi, ho bisogno anch’io di qualcuno che si prenda cura di me, e in questo momento vi chiedo qualcosa da mangiare, perché non mastico niente da vari giorni e sono molto debole, ancora di più perché ho corso dietro di voi per raggiungervi e salvarvi da una notte nel bosco. Allora il piccolo vestito da cammello risponde per primo e gli dice: ‘Io ho il collo lungo lungo, ma cercherò di togliermi questa maschera, così ti potrò raggiungere più facilmente ed offrirti la mia frutta secca. Anche la chiocciolina si svestì e gli offrì la sua lattuga e la sua frutta fresca; poi la giraffa gli offrì i germogli di acacia. Anche io, dice il gufo, sono brutto di aspetto, ma loro non hanno più paura di me perché si sono abituati e ora mi conoscono, ho da offrirti solo una piccola lucertola, io non sono erbivoro. Quindi, interviene il cerbiatto e gli offre mais e patate dolci. Ora sono diventati tutti amici, anzi vogliono tutti bene a quel piccolissimo sciacallo così brutto, ma così bisognoso di affetto e di cure. Ora si conoscono, hanno gettato via le maschere che li privavano di agire secondo i loro veri sentimenti, quelli dell’innocenza dell’infanzia, quando tutti ci appaiono fratelli, senza pregiudizi. Lo sciacallo, quell’animale che gli antichi egizi avevano identificato con il dio Anubi, anche lui, gettata via la sua maschera spaventosa, è diventato un essere del mondo, e si è presentato nel nostro mondo senza più nessuna paura. Tutti possiamo diventare delle belle principesse che si abbracciano a un bel principe, basta scalfire la crosta che è intorno a noi, e gettare quella maschera che ci impedisce di farci conoscere agli altri ed a se stessi per quello che realmente siamo.

(3 ) Storie di alberi che si lamentano e piangono sono molto comuni nella mitologia di tutti i paesi, poiché nei popoli primitivi, l’albero, insieme alle pietre, ai fiumi, ai laghi, era considerato oggetto di culto, e si trovava in prossimità delle tombe di persone care o di persone importanti.