Racconti italiani gotici e fantastici
Di Geraldine Meyer
Di cosa parliamo quando parliamo di letteratura fantastica? Inevitabile il richiamo al bellissimo, e per certi versi imprescindibile, saggio di Todorov, ma inevitabile anche trovarsi davanti a una materia molto più vasta e complessa di quanto si sia portati a pensare. Quali le caratteristiche, quali i confini di un genere tanto sfaccettato quanto, questo è certo, riconoscibile sia a livello di percezione sia, appunto, per i tentativi di marcarne confini e caratteristiche.
Proprio da questo parte, mettendoci subito in guardia, la bellissima prefazione di Dario Pontuale al volume Racconti italiani fantastici e gotici, recentemente uscito per black dog Edizioni, di cui è anche curatore. Questo primo di tre volumi previsti, ci porta tra le pagine di alcuni scrittori italiani di cui la maggior parte di noi ha letto opere che nulla avevano a che fare con il fantastico e, tanto meno, il gotico. Regalandoci dunque un ulteriore motivo di sorpresa e curiosità.
Ma torniamo, per un attimo, alla prefazione di Pontuale che, in modo molto preciso comincia con due parole: esperimenti di definizione. Richiamando così non solo il tema centrale di questa raccolta di racconti ma, soprattutto, l’inevitabile seppur parziale e destinata spesso al fallimento, tendenza a cercare e trovare confini di genere e di estetica. Scrive Pontuale: “Definire il “genere fantastico”, nondimeno, corrisponde al tentativo di uscire da un labirinto bendati e con le mani legate. Complesso, probabilmente impossibile. Il mondo della critica ci si affanna da decenni con esiti incerti o difformi. Necessario pertanto fissare dei parametri esatti, provando innanzitutto a delimitare il termine: Fantastico. […]Una valle buia, un grande casa abbandonata, una notte ventosa e luna piena. Un cancello sfondato, un viale di alberi cupi, un corridoio che entra nella tenebra. Una luce sotto la fessura, uno scricchiolio dietro la porta, passi che avanzano prudenti. Mistero, suspense e terrore: elementi affascinanti, tuttavia insufficienti per definire il Fantastico”.
Partendo da qui, da queste prime righe della prefazione di Pontuale, proviamo dunque a leggere questi racconti di scrittori come Arrigo e Camillo Boito, Luigi Capuana, Emilio De Marchi, Salvatore Di Giacomo, Italo Svevo, Igino Ugo Tarchetti, Federigo Verdinois, Remigio Zenga. Un bel tratto di viaggio all’interno della letteratura tout court, in un ‘800 di cui, forse, sono altre le suggestioni rimaste imbrigliate nella nostra memoria di lettori. Eppure, a leggere attentamente questi racconti, si scopre non solo una letteratura italiana che davvero nulla ha da invidiare a forse più famose opere di “genere fantastico” straniere, ma anche una profondità di suggestioni e riflessioni che colpiscono per il loro essere tremendamente (non a caso uso questa parola) attuali.
In questi racconti, c’è da dirlo, non ci sono porte cigolanti, castelli arroccati su rupi nebbiose e fredde. Eppure troviamo quella sospensione, quell’attimo di immobilità incredula che, se sono da ascriversi al genere, non sono però di sua esclusiva competenza. E qui c’è la prima delle tante belle soprese che la lettura di questo libro regala. Perché qui il tema trattato, cioè la scienza, si declina attraverso una scelta molto precisa del curatore ma anche attraverso una complessità di sguardi e di stili che rendono la lettura un percorso davvero interessante.
Tra queste pagine sono narrate ma anche ( e forse soprattutto) denunciate narrativamente alcune delle più grandi e drammatiche contraddizioni di quel secolo di cui, basta leggere attentamente la realtà attuale, molte ombre ancora disegnano i chiaroscuro della nostra modernità. Gli eccessi del progresso quando diventa una sorta di idolo, una tecnologia di cui è evidente la deriva disumanizzante, il rapporto/contrasto tra scienza e fede, i confini della nostra ragione, le superstizioni e le domande, spesso disorientate, che sottendono ad esse. Una sorta di viaggio nel “titanismo” di una umanità che vuole sapere, si interroga eppur si spaventa per le stesse risposte trovate. Ma anche, forse, una sorta di ribellione, una lettura metafisica che si oppone al potere totalizzante della scienza. Un urlo, letterario certo, per ricordare che l’uomo è multiforme e complesso, viandante tra ciò che ha una spiegazione e ciò che, pervicacemente, si muove al di fuori di essa. Restituzione narrativa, insomma, di un conflitto mai risolto.
Un riverbero, anzi più di uno, filosofico che ci accompagna per tutte le pagine, per tutti quei pertugi attraverso cui il mistero entra a gamba tesa nella vita reale. Pur sapendo però che, ora come ora, il rischio è sempre quello di voler trovare confini nettissimi e immutabili tra l’uno e l’altra. Infondo alcune certezze scientifiche di oggi erano la lettura leggendaria ed epica che, una volta, si faceva di ciò che non si comprendeva.
Davvero una lettura gravida di suggestioni e di provocazioni intellettuali in cui, a far restare in uno stato di sospensione, è la modernità di quell’800 e di quella “letteratura fantastica” italiana.
Racconti
balck dog Edizioni
2019
314