Stadi di dispersione
Di Vladimir D’Amora
Perché destinammo altre partite sporche anche alle carte di natura. In spire di metallo psichico, motivammo stupori elementari riproducendo in quest’assurda fede di una direzione univoca e puttana, il girare ch’era una vita, nella carne, a luce sottoesposta e senza costi liberati da un sogno quasi africano. Solo osando le maniere, le stupide velanti circostanze, come le chiare alleate.
Perché fu che si coagularono fasulle spie d’una stringa solitaria e dalle fondamenta certe, rischiando vero di comprendere la vita e incedendo a costruzioni attive di rivolte a coglier l’ora di un allattatosi dolore. Sì che fummo dei fatti costruiti dall’illusione, di poter continuare senza più il chiaro pensiero di un’altra nascita o della spinta.
Perché un buio ricordo valse questo calarsi a funi legando voci sulla lingua, come leccassimo la linea di un arco teso a un peso caldo, cui cadere. Mentre precipitammo a queste forme schiuse da una natura beffarda – l’acqua su terra scalfiva oggetti lei benedicendoli.
Perché nei giorni del notturno, non abbandonammo forme corrose da mani tese al cazzo sognavamo di scrivere cose allo scrivere e occhi della precisa via ai giusti non lasciammo altro, che un’idea inattendibile: importava essere a questo mondo esterni, interni solo a un altro mondo, i duri pugnali, per un cesare non vinto.
Perché un orizzonte la luce su linea ricurva il tempo tentando mano fummo il testimone sangue, che fece rossa l’infanzia e il battito assurdo nella stanza eravamo noi, il nervo dei fiori contesi alla vita di un altro regalante fiori. Morti.
Perché oggi riusciamo a vedere. Perché oggi superiamo di vetro di campane di esistenza le parole, l’ostensione oggettuale oggi, a una porta, non avendo che la chiave, che conosca i favori, oggi concessi a un cane, come lavori. Pieno di blanda, il cane, abulicissima memoria.
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L’immagine di copertina è Autoritratto di Francis Bacon preso da settemuse.it